Dopo un'estenuante maratona negoziale, Unione europea e Regno Unito sono finalmente riuscite ad arrivare a un accordo di divorzio per la Brexit. Il testo, che mantiene i diritti dei cittadini europei in Gb ma modifica sostanzialmente la normativa sull'Irlanda, sarà adesso sottoposto all'esame dei capi di Stato e di governo dell'Ue che si riuniscono oggi a Bruxelles. Ma lo scoglio sarà al parlamento britannico di Westminster, dove non è detto che il premier britannico, Boris Johnson, ottenga la maggioranza. L'intesa è stata annunciata via Twitter dal presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker, e il premier britannico, Boris Johnson. «Dove c'è volontà, c'è un accordo. E noi ne abbiamo uno», ha esultato Juncker, in un messaggio su Twitter, invitando il leader dell'Ue ad appoggiare l'intesa nel vertice tra oggi e domani a Bruxelles. Secondo Juncker, si tratta di «un accordo giusto ed equilibrato» che testimonia «il nostro impegno per trovare una soluzione». L'intesa -ha spiegato il capo negoziatore dell'Ue Michel Barnier- prevede che il Parlamento nordirlandese possa votare le disposizioni volte a evitare una frontiera fisica nell'Irlanda del Nord quattro anni dopo la sua entrata in vigore, ovvero una volta che si concluda il periodo di transizione successivo alla Brexit (il voto comunque richiederà una maggioranza semplice, il che toglie al Dup, il partito unionista nordirlandese, l'eventuale potere di veto). E prevede che l'Irlanda del Nord rimanga allineata agli standard qualitativi e a determinate normative del mercato unico europeo però faccia parte del territorio doganale del Regno Unito; i controlli delle merci dal Regno Unito a Belfast si effettueranno nel punto di ingresso del territorio britannico, in modo da non ricreare un confine fisico nell'isola. Adesso gli occhi sono puntati su Londra. Johnson, che governa in minoranza, con l'appoggio a Westminster, proprio del Dup, ha bisogno dell'appoggio di deputati di altre formazioni politiche per ottenere il via libera. Il Dup, per ora mantiene la sua opposizione al documento. La leader, Arlene Foster, ha manifestato di buon mattino tutte le sue riserve; e poco dopo l'annuncio di Johnson e della Commissione europea, fonti del partito hanno indicato che la posizione rimane la stessa. La frontiera tra le due Irlande è stata la questione più complicata dei negoziati sulla Brexit, visto che l'obiettivo era di evitare una frontiera fisica che poteva pregiudicare il processo di pace nell'isola. Nella nota comunque, Foster, e il 'numero' due' della formazione, Nigel Dodds, hanno puntualizzato che continueranno a lavorare con il governo. Ora a Londra si fanno i conti: il voto sarà dopodomani, la prima volta che Westminster si riunisce di sabato dalla crisi delle Falkland. Johnson ha bisogno di almeno 320 voti e per ora è quasi sicuro di poter contare su 259: gli hanno già detto di 'no', oltre al Dup, i Laburisti (il leader Jeremy Corbyn chiede un referendum sull'accordo, ma nel voto ci potrebbe essere qualcuno che si sfila), i Lib-Dem e i nazionalisti scozzesi dell'Snp. Per lui la strada è in salita. La sterlina, che dopo l'annuncio dell'accordo, era volata a 1,2990 sul dollaro, a un soffio da quota 1,30, a metà giornata già scendeva sotto 1,28 sul biglietto verde nel timore che BoJo non ce la faccia.
Quindi i 27 leader Ue riuniti nel Consiglio europeo hanno approvato l'accordo sulla Brexit raggiunto da Londra e Bruxelles. Lo ha annunciato in conferenza stampa il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. «Siamo molto vicini alla fine dell'iter», ha dichiarato Tusk.
L'annuncio della nuova intesa raggiunta a Bruxelles sulla Brexit fra Boris Johnson e i 27 riecheggia quasi in tempo reale anche fra i tanti connazionali della comunità tricolore d'oltremanica: un po' come un potenziale, attesissimo elemento di certezza; un po' come il segnale, sgradito ai più, della conferma del fatto che il Regno Unito potrebbe essere sul punto di mollare gli ormeggi davvero, semmai stavolta l'intesa dovesse essere ratificata. «Garanzie assicurate per i cittadini italiani residenti in UK, tutela per l'export e le imprese italiane», ha twittato il ministro per gli Affari europei Enzo Amendola dopo il deal. Eppure resta la sensazione che, ai tempi della Brexit, la stella della Gran Bretagna non brilli più come un tempo per i nostri connazionali. Il sogno di una nuova vita effervescente e piena di stimoli a Londra, o in qualche altra città del Regno, non è cancellato, come certificano i dati ufficiali su un flusso di arrivi ancora superiore (cifre consolari aggiornate a settembre alla mano) a quello delle partenze. Ma appare almeno in parte offuscato dalle numerose variabili del dopo divorzio. Una forte preoccupazione che accomuna una vasta platea di italiani formata da oltre 700 mila residenti più o meno stabili, secondo le stime: studenti, lavoratori, imprenditori, giunti sull'isola, in larghissima misura in riva al Tamigi, alla ricerca di qualcosa che non trovavano nel Bel Paese. «Ogni volta ci viene detta la stessa cosa: è inutile preoccuparsi, i vostri diritti rimarranno inviolati. Ma come facciamo a esserne certi? », si domanda fra i pessimisti dichiarati Lavinia Bianchi, studentessa di letteratura comparata alla Ucl di Londra, arrivata qui tre anni fa «per cercare opportunità che in Italia non trovavo». Speranza che rischia di venir ora delusa, teme. «Finché si tratta di studiare, non penso ci saranno troppi problemi. Il mio timore è per il dopo, quando dovrò iniziare a cercare un lavoro. Sono scappata dall'Italia pensando che con la mia laurea non ce l'avrei mai fatta, e mi ritrovo al punto di partenza». Lei è intenzionata a restare comunque nel Regno. E non è la sola, come evidenzia il database dell'Universities and Colleges Admissions Service (Ucas) che quantifica le iscrizioni di giovani europei presso gli atenei britannici nel 2019 in 50.650 contro i 50.130 del 2018 e quelle degli italiani in 4.430 contro 4.300: ancora in aumento, dunque, seppur di poco. Ma c'è chi invece, in particolare fra coloro che progettano d'iniziare un master, pensa ora di trasferirsi in Francia, Spagna o Olanda. «Il prezzo delle rette potrebbe schizzare in alto – azzarda uno di loro, Pietro Geuna – quindi molti dei miei compagni di corso, me compreso, stanno valutando seriamente se rientrare nel continente". Alessandro Guasti, che sta facendo un dottorato alla London School of Economics, condivide l'allarme. «Da una parte – argomenta – ci sono le possibili conseguenze economiche della Brexit, deal o no deal. Poi ci sono i timori di un aumento delle rette universitarie; e infine gli interrogativi sulle garanzie della tutela del diritto di rimanere a lungo termine in Gran Bretagna alla fine del dottorato». Altri, fra cui Paolo Ossola, ricercatore in ambito psichiatrico, ne fanno viceversa una questione di atmosfera politica, evocando l'impressione di un «velo di xenofobia" sceso qua e là nei confronti degli europei. Paure e incertezze possono essere del resto superate, secondo Stefano Potortì, vicepresidente della Camera di commercio italiana per il Regno e imprenditore di successo a Londra. «Nei mesi scorsi – ammette – era spuntata in effetti una certa difficoltà a trovare personale italiano da inserire nel settore della ristorazione, ma le rassicurazioni hanno fatto migliorare decisamente la situazione». La verità, conclude Potortì con un tocco di ottimismo, è che «anche dopo la Brexit, Londra e il Regno Unito continueranno a offrire grandi opportunità per imprenditori e lavoratori in arrivo dall'Italia».
Dal punto di vista economico Piazza Affari si ferma e conclude in rosso una seduta volatile. Il Ftse Mib ha terminato gli scambi con un moderato calo dello 0,23% a 22.375 punti dopo che nel corso della seduta si era spinto anche oltre 22.600 punti in virtù della iniziale reazione emotiva positiva all'annuncio di un nuovo accordo sulla Brexit. Anche gli altri listini europei vivono una giornata di stanca – Francoforte lascia sul campo lo 0,12%, Parigi lo 0,42% – col solo Ftse 100 di Londra che strappa una chiusura in progresso, mettendo a referto un +0,20% a 7.182 punti. Questo mentre lo spread tra Btp e Bund si mantiene sotto quota 140 punti. Tra i migliori performer di giornata sulla Borsa di Milano spicca Leonardo con uno scatto in avanti del 2,12% a 10,59 euro. In prima fila anche Poste Italiane, che con un +1,13% a 10,7 euro torna a ridosso dei massimi storici toccati il 15 ottobre (quando toccò un massimo intraday a 10,875 euro). Seduta molto positiva quindi per Mediobanca (+1,44% a 10,58 euro), che ha aggiornato i massimi a oltre 10 anni. In lieve calo Telecom Italia (-0,17% a 0,53 euro) in attesa della scelta del presidente che prenderà il posto del dimissionario Fulvio Conti: l'appuntamento è a venerdì con il comitato nomine della società che andrà a vagliare le diverse candidature. I cali più netti sono comunque quelli di Pirelli, che perde il 2,53% a 5,55 euro e Stmicroelectronics, che lascia sul campo l'1,98% a 19,02 euro.