Politica

Una corrente di… Ferri

«Daremo filo da torcere ad Md e Unicost. È ora di tornare all’orgoglio per le nostre idee e la nostra storia. Questo congresso deciderà che cosa sarà di Magistratura indipendente (Mi)». Più volte chiamato in causa, il presidente nazionale di Mi, Stefano Schirò, non poteva essere più chiaro. L’uomo che in occasione delle recenti elezioni per il Csm ha praticamente sbriciolato nella quota per la Cassazione il patrimonio di consensi della corrente più forte tra i togati, Unicost, fermandosi ad appena cinquanta voti dalla vittoria, parla nella sala di un sperduto albergo di periferia, chiamato Black hotel. Il clima è teso perché si sta decidendo il futuro del secondo gruppo associativo tra i magistrati, appunto Mi. Da una parte, anche se non prendono parola, c’è la “vecchia guardia” dai nomi altisonanti: il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena, l’ex presidente Anm Antonio Patrono e il pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo. Ad essere presente, per la verità, è solo Patrono, forse perché l’assemblea di Mi è animata da altri protagonisti. La sala è stracolma e piena di giovani magistrati. E sono proprio loro i protagonisti del congresso, loro che scelgono il cambio della guardia al vertice della corrente. Già, ma votando chi? «Cosimo è un leader determinato – sussurra al Punto un giudice piemontese – un moderato e un riformista vero. Un vero “terremoto” per l’associazione magistrati».
E di “Terremoto” nel mondo della magistratura italiana effettivamente si tratta. Cosimo Maria Ferri, 39 anni, già componente del consiglio superiore della magistratura, è stato eletto con 410 voti (pari ad oltre il 72% dei consensi) nuovo segretario nazionale di Magistratura indipendente (Mi), il gruppo associativo che rappresenta un togato su quattro (oltre il 25%). L’elezione di Ferri rappresenta una svolta non soltanto per Mi ma per l’intera categoria. Ferri, figlio dell’ex ministro socialdemocratico ed ex segretario nazionale dell’Anm Enrico, è noto per il suo attivismo e per il suo profilo moderato e riformatore.
Ma anche per le posizioni assunte da componente del Csm a proposito del caso Englaro: «In un ordinamento giuridico come il nostro caratterizzato da principi che richiedono espresse e formali dichiarazioni di volontà di ciascun individuo affinché possano prodursi persino effetti di incremento del suo patrimonio, è lecito nutrire giustificate riserve sul riconoscimento, al tutore del soggetto incapace, di poteri destinati ad investire la sfera, non solo patrimoniale, ma anche personalissima del soggetto assistito, alla condizione – individuata dai provvedimenti giurisdizionali intervenuti sul controverso caso della giovane – che egli decida “con l’incapace”, esprimendone una ipotetica volontà.  Non resta, dunque, che formulare l’auspicio che un’eventuale disciplina legislativa della materia del “fine-vita” sia fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti». E ancora: «Insieme ai colleghi di Magistratura Indipendente ho firmato una proposta alternativa alla delibera a tutela dei magistrati coinvolti nel caso Englaro, così come è stata avanzata dalla Prima Commissione del CSM, perché ritengo che non tutte le critiche alle sentenze intervenute sul “caso Englaro” siano realmente denigratorie. Per questa ragione ho avvertito l’esigenza di riconoscere da un lato la gravità delle accuse rivolte ai magistrati della Cassazione, ma dall’altro dare atto del caso di eccezionalità rappresentata dalla drammatica fine di Eluana Englaro che ha interrogato profondamente il Paese sollevando riflessioni e critiche che hanno investito tutte le massime istituzioni della nostra Repubblica. Mi sia consentita una digressione personale a proposito di questa pratica. Essa fa riferimento, certo, ad espressioni forti, irriguardose dell’operato di colleghi magistrati. Su questo aspetto non ho dubbi, tanto che io stesso ho apposto la firma per l’apertura di questa pratica a tutela. Tuttavia, riflettendo, ho maturato la ferma convinzione che esse vadano considerate alla luce dell’argomento in questione: il diritto alla vita. Non possiamo quindi far finta di ignorare che il caso Englaro ha diviso il Paese e le coscienze degli uomini che, per professione o vocazione, sono stati chiamati a seguirlo, direttamente o indirettamente: penso ai magistrati, ai medici, agli avvocati, ai politici, ai sacerdoti, ai giornalisti. Nello specifico, infatti, vi è più di un dubbio che il caso Englaro si possa configurare come un trionfo dell’autodeterminazione del malato, così come qualcuno l’ha inteso. Conseguentemente – concluse Ferri – è legittimo il dubbio che le pronunce abbiano dato attuazione alla volontà di Eluana di essere lasciata morire».
Da sempre sostenitore dei tempi più propriamente “sindacali” – relativi cioè alle condizioni di lavoro dei suoi colleghi – ha spesso polemizzato con i vertici dell’associazione magistrati per la scelta di contrapporsi al governo su un piano politico, che avrebbe rischiato di far confondere l’Anm con le forze di opposizione.
Con l’elezione di Ferri a segretario nazionale e la conferma del consigliere di Cassazione Stefano Schirò alla presidenza, Mi appare decisamente più forte e proiettata ad una competizione interna all’associazione magistrati in vista delle elezioni interne, previste per il prossimo ottobre.
Già in occasione del rinnovo del consiglio superiore della magistratura, la linea “sindacale” e autonomista di Ferri e Schirò era stata premiata nelle urne con un eccezionale risultato sul piano elettorale che per soli 50 voti non si era tradotta nell’elezione di Schirò al Csm nella quota per i magistrati di legittimità ma che aveva comunque consentito ai colleghi Angelo Racanelli e Tommaso Virga di risultare primi nelle quote per i pubblici ministeri e i giudici di merito. Un risultato che ha provocato un certo smarrimento nelle altre correnti, in primis la centrista Unità per la Costituzione (che ha perso molti voti) e quindi la “progressista” Magistratura democratica (che ha perso un seggio rispetto alla consiliatura precedente).
Con il congresso conclusosi ieri mattina, Magistratura indipendente lancia la sfida del rinnovamento. La posta in gioco è ambiziosa: conquistare il cuore – e il consenso – dei giovani colleghi che, come è stato osservato da Magistratura democratica in occasione del suo ultimo congresso – hanno abbandonato le correnti che fino ad oggi guidavano l’Anm, appunto Unicost con il presidente Luca Palamara e Md con il segretario Giuseppe Cascini.
Nella sua relazione Ferri ha spiegato che « Oggi però siamo di fronte a nuove sfide: è indiscutibile che la magistratura sia cambiata. Non possiamo ignorare le profonde trasformazioni culturali e sociali intervenute, nonché l’avvento di un vero e proprio cambio generazionale, determinato dall’ingresso di giovani colleghi, impegnati e motivati, ma lontani da quella concezione fortemente ideologica della funzione giudiziaria degli anni ’70. Al suo progressivo superamento si accompagna, pertanto, una crescente attenzione – specie nei nuovi magistrati – per gli aspetti pragmatici relativi alle condizioni di lavoro, non disgiunta, tuttavia, da un rinnovato orgoglio per lo svolgimento della funzione giudiziaria. Si rende, quindi, necessario un cambiamento, da realizzare tramite nuove iscrizioni a MI, nuova linfa e soprattutto nuovo entusiasmo. Mi – ha detto ancora Ferri – non può e non deve perdere terreno rispetto alla fase di rinnovamento che sta interessando, in particolare, le nuove leve della magistratura, e deve anticipare le altre correnti in questo desiderio di innovazione che proviene dalla base dei magistrati. L’obiettivo deve essere, quindi, di coniugare gli ideali di Mi  con una nuova idea di associazionismo. È necessario prendere atto che nuove questioni sono al centro del dibattito interno alla magistratura: una crescente (e giustificata) insofferenza verso le correnti, sempre più viste come strumenti per la gestione di potere clientelare e non già quali luoghi di proposta, confronto ed elaborazione culturale; la diffusa consapevolezza dell’importanza che riveste l’indipendenza, non del solo ordine giudiziario nel suo complesso, ma anche del singolo magistrato, nonché la sua autonomia, da rivendicare anche nell’organizzazione del lavoro». Poi l’attacco al fenomeno del correntismo, di cui Ferri è da sempre pubblico e acerrimo contestatore: «Riflessioni, queste, che finiscono col coinvolgere lo stesso ruolo del CSM, anch’esso percepito come espressione di quel medesimo clientelismo correntizio che, nello svilire la professionalità di tanti colleghi, privi di una precisa appartenenza associativa, tende a comprimerne l’autonomia». (dal settimanale il Punto)

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