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Tra sviluppo e impresa l’esigenza del capitale di rischio

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Scritto da vocealta

EuroTra alti e bassi la finanza europea si appresta ad un nuovo stress test: l’entità del finanziamento alle banche. Quali banche? Per quali stati? Con quali modalità? Sono principali quesiti che poco per volta prendono forma. Dopo alcune giornate di euforia le borse dovranno ottenere risposte per capire quale spazio esiste per ridare certezze al sistema creditizio.

Rapidamente, intanto, il rallentamento dell’economia reale si fa strada, conta poco il dato sulla nostra crescita del Pil del 4% di agosto, conta molto il problema degli ordini che stanno diminuendo in tutti i settori, dopo un primo semestre di euforico ottimismo, facendo balenare la possibilità che si finisca nuovamente in recessione a meno di 8 trimestri da quella devastante del 2008/9.

In questo scenario si inserisce il problema, mai abbastanza evidenziato, dell’insufficiente patrimonializzazione e capitalizzazione delle nostre PMI, le quali rappresentano, per occupati e peso specifico per la crescita del nostro paese, il vero fulcro operativo. Abitudini e normative hanno fatto sì per decenni che lo Stato premiasse il capitale di debito, consentendone la detrazione dei costi, non premiando in nessuna misura il capitale di rischio. Il ricorso al finanziamento soci, anch’esso premiato con la deduzione dalle tasse in primis del interesse riconosciuto al socio, e poi dalla restituzione del prestito ai danni della redittività tassata, ne è stato la naturale conseguenza.

Il finanziamento soci non è null’altro che prestito verso terzi e quindi incide negativamente sul rating di ogni singola impresa. Il sistema creditizio gravato dai parametri restrittivi delle varie Basilea, dalla diminuita liquidità e da agli alti tassi da pagare per reperirla, per rinnovare o concedere linee di credito imporra requisiti patrimoniali di maggior consistenza in confronto a quelli richiesti ante periodo attuale. Il vero rischio per le banche italiane è proprio nell’avere in pancia un numero illimitato di imprese che di fronte ad un calo della domanda e quindi del lavoro sarebbero costretti a richiedere aumenti delle linee di credito pur non disponendo di adeguata copertura con capitale e patrimonio proprio. Le conseguenze di una riduzione di concessione del credito aprirebbero due versanti molto negativi: chiusura di imprese e con aumento della disoccupazione, ricorso, per evitare il crack, al credito usuraio (pullulano nelle periferie delle città negozi che acquistano oro e concedono prestiti), entrambe sono piaghe che un paese come il nostro non può e non deve permettersi.

Quale strada percorrere per stimolare i proprietari delle imprese a mettere mano al portafoglio e capitalizzare l’azienda? L’incentivo principe è quello di consentigli la deduzione, in un periodo x e in rapporto ad un reddito dichiarato di almeno il doppio dell’importo da scalare, dalle proprie tasse quanto è stato versato o girato come patrimonio immobiliare non di pertinenza del core aziendale.

Gli effetti per la nostra economia sarebbero sostanziali: 1) strutturazione patrimoniale adeguata ad ottimizzare i fondamentali aziendali. 2) emersioni di redditi personali per poter ottenere le deduzioni. 3) riduzione del finanziamento soci e quindi maggior imponibile tassabile. 4) concessione di linee di credito in ragione dei migliori fondamentali. 5) finalizzazioni del maggior credito agli investimenti per la modernizzazione delle imprese con ricadute positive sull”occupazione giovanile mirata proprio ad esigenze di specializzazione. 5)forte riduzione del ricorso ai prestiti usurai.

Tutte motivazioni che bastano per invitare l’esecutivo ad inserire nel programma per il rilancio dell’economia il progetto capitale delle imprese che sposta dall’IMPRESA al SOCIO i vantaggi per chi investe. Risiamo prossimi ad una recessione, fondamentale arginarne gli effetti per ripartire il prima possibile.

* Docente universitario di Economia aziendale e dello sviluppo

(Tratto da www.caravella.eu)

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