La biografia di Sergio Marchionne non lascia dubbi a chi la scorre: il manager più famoso che l’Italia abbia conosciuto rappresenta l’archetipo migliore del self-made man, dell’uomo che ha saputo costruirsi prima un’istruzione, poi una carriera e infine un posto d’onore nella loggia della storia economica del nostro Paese. Un cittadino del mondo che ha guardato ai confini nazionali per ciò che sono: barriere da superare.
Nato a Chieti nel giugno del 1952, è figlio di Concezio e Maria Zuccon. Il padre, originario dell’Abruzzo, fu mandato in veste di maresciallo dei Carabinieri in Istria e lì rimase finché il territorio non finì nelle mani della Jugoslavia. Lì Concezio conobbe anche la moglie, veneto-istriana. C’è anche una storia di discriminazione e violenze nell’albero genealogico di Marchionne: il nonno finì nelle foibe ad opera dei partigiani titini, lo zio venne invece ucciso dalle truppe tedesche. Furono proprio questi eventi a costringere la famiglia a migrare prima verso Chieti, dove nacque il manager, e poi verso il Canada, dove Marchionne arrivò all’età di 14 anni. Fu nel nuovo continente che intraprese i suoi studi universitari, ricchissimi ed eterogenei: una laurea in filosofia all’università di Toronto, una in legge alla York University, e infine un master in business administration alla University of Windsor.
Anche la carriera di Marchionne inizia con un ampio ventaglio di attività: commercialista, procuratore legale, avvocato, esperto contabile. Quindi l’ingresso nelle grandi aziende canadesi, fino ad essere nominato alle soglie degli anni ’90 presidente esecutivo della Glenex Industries e responsabile dell’area finanza della Acklands. La consacrazione arriva nel 2002, quando in veste di amministratore delegato della SGS di Ginevra inizia a dar prova delle sue capacità, che non passano inosservate: alla morte di Umberto Agnelli, Sergio Marchionne approda alla Fiat e il 1 giugno 2004 viene nominato amministratore delegato del gruppo.
È forse questo il momento che segna non solo la vita di Marchionne, ma anche quella delle migliaia di dipendenti della casa automobilistica e dell’Italia intera. Quando arriva al Lingotto per le fabbriche degli Agnelli è un periodo gravissimo: la crisi economica inizia a far sentire tutto il suo peso, insieme a una grave depressione dell’intero settore in Europa. Ha dunque inizio il piano di Marchionne, che porterà – fra alti e bassi – la Fiat alla risurrezione prima e al successo poi. Dopo aver consolidato l’attività del gruppo in Italia, infatti, Marchionne vola negli Stati Uniti, arrivando perfino a collaborare con l’amministrazione di Barack Obama per siglare un accordo che rimarrà negli annali: Fiat acquisisce Chrysler, azienda sull’orlo del baratro, e si internazionalizza, diventando FCA. Da qui, il boom: il marchio Jeep in pochi anni diventa un must negli Stati Uniti, mentre in Europa le vendite della gloriosa Fiat 500 registrano risultati sempre migliori.
Marchionne gestisce con abilità e sapienza, per anni, le difficili congiunture che il gruppo da lui guidato si trova ad affrontare. Nel tentativo di risollevare l’azienda, è costretto a tagliare i dipendenti e a chiudere alcuni stabilimenti, fra cui quello di Termini Imerese. Eventi che gli hanno attirato non solo moltissime critiche, ma anche alcuni scontri con i governi che si sono avvicendati negli ultimi anni.
Nulla ha scalfito la freddezza e la razionalità del manager. Nel 2014 anche Ferrari sta vivendo un periodo di gravissima crisi, sotto la presidenza di Luca Cordero di Montezemolo. Marchionne assume la presidenza e l’amministrazione della casa automobilistica, portando alla risurrezione anche Ferrari.
Per una storia che trasuda forza e imponenza nessuno si aspettava un finale come quello che si sta consumando in queste ore. Sergio Marchionne è gravemente ammalato, si trova in terapia intensiva in un ospedale svizzero, Paese dove risiede da anni. Le sue condizioni, aggravatesi pesantemente negli ultimi giorni, hanno costretto i gruppi da lui guidati a mutare repentinamente la leadership, nel tentativo di attraversare indenni la tempesta perfetta che si sta addensando sui titoli. Eppure, il destino di Marchionne sembra legato a doppio filo con quello dei gruppi che ha portato al successo: dopo un weekend al cardiopalma, infatti, FCA apre la settimana in rosso.
Gli investitori sfiduciati dalla degenza di Sergio Marchionne sono solo l’ultimo chiaro segno del peso di un manager che ha saputo tranquillizzare tutti, dagli operai ai finanziatori, dai capitali alla popolazione. Un uomo che ha visto passare davanti a sé i governi e le amministrazioni di svariati stati e che pure vi ha collaborato, senza personalismi, senza ripicche, tenendo sempre un punto fermo nella sua attività quotidiana: il profitto, come ogni buon manager, la tenuta, come ogni buon leader.
Qualcuno in queste ore nota, con un briciolo di sarcasmo, come per Marchionne stia arrivando un grande commiato nonostante sia ancora in vita. Non è di certo cattivo gusto: è la constatazione che chiudendo un capitolo enorme, come quello di Marchionne alla guida di FCA, si volta pagina in maniera definitiva. Le pagine scritte finora, tuttavia, sono pagine di fatica e di gioia, mentre quelle che hanno da venire son bianche ma comunque oscure e incerte.
A nulla varranno le critiche che si accumulano sul web, nella vox populi e sulla carta stampata: non basteranno per scalfire l’eredità professionale lasciata da Sergio Marchionne, non saranno sufficienti a cancellarne il miracolo, né serviranno a dimenticare la caparbietà – allo stesso tempo temeraria e lucida – che lo ha contraddistinto nel suo operato quotidiano.
Mentre scriviamo non sappiamo ancora come e quando la storia di Marchionne giungerà alla parola fine. Ciò di cui siamo certi è che l’impronta del suo passaggio sarà per molto, moltissimo tempo ampia e profonda. E che il nome, la vita e le scelte di Sergio Marchionne ispireranno generazioni di manager, di economisti, di imprenditori, di cittadini, di tutti coloro che sapranno rimboccarsi le maniche e intraprendere una strada lastricata di duro lavoro ma anche – e soprattutto – di grandi successi. Sergio Marchionne è il simbolo dell’Italia che spera, dell’Italia che sa quando e come rialzarsi, dell’Italia che ricorda a tutto il mondo le potenzialità di un Paese di poeti, santi e navigatori che vuole ancora imporre un preciso modo di vedere il futuro.