È tuttora in corso e lo sarà fino a domenica 6 maggio lo sciopero dei giudici di pace. Secondo gli organizzatori, hanno partecipato più del 90% dei soggetti interessati. La protesta ha fatto saltare più di mezzo milione di processi, nonostante i giudici abbiano garantito un’udienza settimanale. Ma i disagi potrebbero non finire qui, dal momento che se l’attuale esecutivo dovesse perdurare fino a giugno, i magistrati non togati continueranno la loro protesta per un altro mese. In una nota dell’Unione nazionale dei giudici di pace, si legge: «La riforma Orlando, attualmente nella fase transitoria precarizza ulteriormente la categoria dei magistrati onorari e dei giudici di pace, limitandone l'impegno lavorativo a due giorni a settimana, senza tutele economiche e previdenziali, già oggi prevedendone l'applicazione nell'ufficio del processo senza alcuna remunerazione».
Secondo Maria Flora di Giovanni e Alberto Rossi, rispettivamente presidente e segretario dell’Unione nazionale dei giudici di pace, «la sciagurata riforma Orlando raddoppia i carichi di lavoro dei magistrati onorari». La previsione è tragica: «Ciò porterà al collasso della giustizia in Italia» spiegano dall’Unione nazionale, mentre chiedono le immediate dimissioni del ministro Orlando e la «sospensione di ogni procedura di attuazione della riforma e la sua abrogazione» ad opera del nuovo governo. L’esempio da seguire sarebbe quello della «legge 217 del 1974, che riconobbe agli allora vice pretori onorari la continuità del servizio e lo stesso trattamento economico e previdenziale dei magistrati di tribunale».
Nel mondo della giustizia, i magistrati non togati non sono gli unici a protestare. Uno sciopero è stato infatti indetto negli scorsi 2 e 3 maggio anche dagli avvocati penalisti, contro la mancata attuazione della riforma penitenziaria. La protesta fa seguito ad un’altra risalente al 13 e 14 marzo scorsi, ed entrambe sono state decise dalla Giunta dell’Unione delle Camere Penali.
Secondo gli avvocati, è necessario sottolineare l’importanza delle finalità rieducative e di reinserimento sociale del condannato, come evidenziato dall’art. 27 della Costituzione. Concetti fondamentali, secondo la Ucpi, per la «compiuta riaffermazione dello stato di diritto e per la ricollocazione del nostro sistema penitenziario nell’ambito dei principi comunitari».
La lamentela riguarda nello specifico il mancato inserimento dei decreti attuativi della riforma nei lavori delle Commissioni speciali parlamentari. Sarebbero tre decreti legislativi già approvati dal Consiglio dei Ministri in un doppio esame che ha visto il primo parere positivo il 22 febbraio e il secondo il 16 marzo.
Stando a quanto afferma l’Unione delle camere penali, questo è il prodotto di una «politica esclusivamente carcerogena e carcerocentrica» che tende a collocare nella sola esecuzione delle pene detentive «le aspettative securitarie della intera collettività».