Da Sette, a firma Danilo Taino
L’europeismo degli olandesi era scritto nella roccia, un tempo. Ora, questa certezza è evaporata. Qualche giorno fa, il governo di coalizione dell’Aia ha fatto sapere che l’obiettivo della Ue di una unione sempre più stretta e forte va messo tra i ricordi, non è più attuale. Pazienza, si potrebbe dire: ne faremo a meno. Senonché, negli stessi giorni un altro grande Paese, fondatore dell’Unione e protagonista della sempre maggiore integrazione del Vecchio Continente, la Francia, ha messo in discussione il cuore stesso della costruzione europea: il ministro dell’Industria di Parigi, Arnaud Montebourg, ha accusato il presidente della Commissione di Bruxelles, José Manuel Barroso, di alimentare l’estrema destra francese del Fronte Nazionale con continue interferenze sul suo governo, democraticamente eletto. Barroso e la Commissione, in sostanza, dovrebbero limitare, se non annullare, i loro interventi.
Nuovi passi. Per fortuna c’è la Germania, europeista senza se e senza ma da quasi settant’anni. O no? No. Il partito che guida il governo a Berlino, la Cdu, ha sempre sostenuto la necessità di fare nuovi passi verso l’integrazione europea: a un congresso di due anni fa, lanciò addirittura la proposta di elezione diretta da parte dei cittadini europei del presidente della Commissione. La stessa Angela Merkel ha sempre sostenuto la necessità di “più Europa”. Durante una riunione a Vienna, due settimane fa, la cancelliera ha però abbattuto in volo l’ipotesi che, alle elezioni europee dell’anno prossimo, il Partito popolare europeo scelga un candidato unico, sovranazionale, da fare votare come presidente della Commissione. L’idea è dunque morta lì. Più in generale, notano gli osservatori, Frau Merkel sta spostando l’asse tedesco su una posizione verso la Ue più fredda che in passato: mentre prima l’Europa era la soluzione dei problemi di legittimità internazionale della Germania, per Berlino oggi è diventata parte del problema di un continente che non funziona: una palla al piede.
È che dallo scoppio della crisi finanziaria greca, nel 2010, i cittadini dei Paesi creditori come quelli dei Paesi debitori sono sempre più disorientati e le divisioni lungo linee nazionali si allargano anziché restringersi. Il fatto che l’Europa sia l’unico continente al mondo che fatica a uscire dalla lunghissima recessione sta diventando la grande questione sociale e politica. Così, i contrasti vengono alla luce. Non basterà la vecchia retorica europeista a nasconderli.