Sul Decreto Sicurezza è scontro tra il ministro dell’Interno Matteo Salvini, promotore della norma, e una nutrita schiera di sindaci facenti riferimento all’area di centrosinistra. A guidare il gruppo è Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, che ha disposto la disapplicazione nel capoluogo siciliano delle regole contenute nel testo di legge. Il segretario della Lega minaccia: «Ne risponderanno legalmente».
Nel mirino degli oppositori c’è l’art. 13 del decreto, il quale stabilisce che il permesso di soggiorno rilasciato al richiedente asilo costituisce sì un documento di riconoscimento, ma non basterà più per iscriversi all'anagrafe e quindi avere la residenza. In sostanza i comuni non potranno più rilasciare a chi ha un permesso di soggiorno la carta d'identità e i servizi, come l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale o ai centri per l'impiego, che verranno assicurati solo nel luogo di domicilio, visto che non c'è più la residenza, come un Centro di accoglienza straordinaria o un Centro permanente per il rimpatrio.
Matteo Salvini ha quindi rincarato la dose, scrivendo in un post: «Con tutti i problemi che ci sono a Palermo…». Ma Orlando non demorde e spiega: «Il governo oggi finalmente getta la maschera con il decreto 132 del 2018 che costituisce un esempio di provvedimento disumano e criminogeno. Non posso essere complice di una violazione palese dei diritti umani, previsti dalla Costituzione, nei confronti di persone che sono legalmente presenti sul territorio nazionale». Ma il titolare del Viminale sceglie il pugno duro, auspicando che nelle «tre ville sequestrate ai mafiosi che verranno restituite ai cittadini il prode sindaco di Palermo non ci piazzi degli immigrati senza diritti o senza averne titolo». Poi conclude la diretta Fb con il mantra: «È finita la pacchia».
All’attacco le opposizioni, che sottolineano come l’idea del rispetto della legge per Salvini non sia stata univoca nel recente passato. Ritorna alla luce infatti la questione delle unioni civili, quando il Capitano della Lega, dai banchi dell’opposizione, chiese ai sindaci del suo partito di non celebrare unioni omosessuali e di ribellarsi al dettato legislativo. Adesso il ministro promette che non farà azioni di forza, ma i sindaci che si opporranno «ne risponderanno personalmente, legalmente e civilmente».
Accanto a Orlando anche il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che nelle scorse ore ha consumato un altro scontro con Salvini. Da qualche giorno infatti la nave Sea Watch con diversi migranti a bordo stazionava nel Mediterraneo, in attesa che uno stato europeo la accogliesse. Prima che Malta prestasse aiuto per interrompere una situazione che stava degenerando, il primo cittadino del capoluogo campano aveva dato disponibilità per aprire il porto della città. Un gesto troncato sul nascere dal ministro dell’Interno, che ha ribadito la sua politica dei “porti chiusi”. De Magistris racconta inoltre che la sua amministrazione si è già trovata a disapplicare norme nazionali giudicate discriminatorie: «Già anni fa quando con una legge ordinaria ci volevano far chiudere le scuole e non assumere le maestre, nella vicenda del piccolo Ruben, figlio di due donne, a cui non volevano concedere la registrazione all'anagrafe e in relazione agli esiti del referendum sull'acqua pubblica».
A supporto dei sindaci arrivano anche Dario Nardella, successore e delfino di Matteo Renzi alla guida di Firenze, e Federico Pizzarotti, sindaco di Parma fuoriuscito dal M5S e ultimamente vicino a + Europa di Emma Bonino. «Come Comune – spiega Nardella – ci prenderemo l'impegno di non lasciare nessuno in mezzo alla strada, anche se questo comporterà per noi un sacrificio in termini di risorse economiche. Non possiamo permetterci di assistere a questo scempio umanitario». Pizzarotti contesta il decreto sicurezza nelle sue forme e applicazioni, ma assume una posizione più moderata sulla disapplicazione: «Dal punto di vista amministrativo non è chiaro come faccia Orlando a chiedere agli uffici di non applicare una legge», spiega.