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«Vi racconto come è nata la legge Obiettivo»

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Scritto da vocealta

luigi_grillo_1La Legge Obiettivo nacque per un’iniziativa del ministro Lunardi all’inizio della Legislatura del 2001. Lunardi istituì una Commissione all’interno del ministero formata prevalentemente da tecnici ed operatori del settore. A questa Commissione fu chiesto di rispondere ad un quesito: per quale motivo in Italia dal 1993 al 2001 si era registrata una paralisi nella realizzazione di opere pubbliche? Fu per la scarsità di risorse, oppure per il clima avvelenato seguito alla vicenda di Tangentopoli del 1992, o la causa di questa paralisi era riconducibile alla macchinosità delle legge esistenti con un riferimento chiaro alla legge Merloni?

La Commissione lavorò per sei mesi, facendo audizioni, approfondimenti, incontri e dibattiti ed alla conclusione dei propri lavori stabilì che l’origine della paralisi nel nostro Paese del comparto delle opere pubbliche era riconducibile alla macchinosità, della legge Merloni, approvata dal Parlamento nel 1993 con quasi l’unanimità dei componenti del Parlamento di allora.

Per questo motivo il governo del 2001, nell’intento di rilanciare le infrastrutture, si rese conto che doveva provvedere all’approvazione di norme che semplificassero le complicate procedure inserite nella Legge Merloni. Nacque così la Legge Obiettivo. Vorrei però precisare: continuiamo a parlare della Legge Obiettivo come se si trattasse di un’unica legge, invece è costituita da un corredo normativo complesso e diviso in tre parti: la Legge Obiettivo, che è una legge delega; il decreto attuativo; la legge 166 del 2002 con cui noi per la prima volta abbiamo normato la questione del partenariato pubblico e privato, cioè il project financing che fino ad allora non aveva funzionato nel nostro Paese. Quindi, quando parliamo di Legge Obiettivo bisogna tenere presente che la valutazione deve essere fatta e riferita a tre leggi approvate dal Parlamento nel periodo del 2001 e 2003.

Queste tre leggi sono state superate ed assorbite alla fine della Legislatura dal Codice degli Appalti, che per la prima volta nel nostro Paese ha bruciato, estinguendole, 56 leggi esistenti nel settore degli appalti e delle forniture dei servizi.

Perciò non c’è più la Legge Obiettivo ma dobbiamo ragionare con il Codice degli Appalti, strumento che pochi Paesi hanno in Europa. L’Italia è uno dei pochi Paesi che ha portato avanti questa opera di ripulitura della legislazione esistente e di numerose leggi e leggine che si erano accumulate in questi anni, dotandosi così del primo Codice degli Appalti. Il Codice fu approvato alla fine della Legislatura del 2006 e furono varati durante la Legislatura del governo Prodi due decreti attuativi: il primo di pulitura tecnica riguardanti alcuni errori materiali, il secondo voluto tenacemente dal ministro Di Pietro, in cui veniva modificata proprio la parte riferita al project financing eliminando il diritto di prelazione che il Codice degli Appalti prevedeva. Cioè il privilegio a favore del promotore. Con il ritorno in Parlamento di una maggioranza di centrodestra nel 2008, proprio nella Commissione che sono tornato a presiedere, con l’ultimo decreto attuativo del Codice degli Appalti abbiamo ripristinato il diritto di prelazione in capo al promotore, che Di Pietro ritenendo che fosse un obbligo voluto dall’Unione Europea aveva eliminato.

Per queste ragioni quando parliamo di Legge Obiettivo dobbiamo giudicare un corredo normativo che a parer mio è dei più avanzati in Europa e quindi non limitarci al primo disegno di legge trasformato in legge nel 2002.

Quali sono state le ricadute sul territorio e che giudizio si può dare del corredo normativo che il Parlamento si è dato in questi anni? La Legge Obiettivo ha rilanciato le infrastrutture nel nostro Paese? Devo fare innanzitutto un’osservazione necessaria e doverosa. Nei due anni in cui la sinistra è tornata al governo, cioè dal 2006 al 2008, il ministro Di Pietro, responsabile delle Infrastrutture, si è reso protagonista di alcune decisioni radicali, come ad esempio quella di azzerare le concessioni esistenti in capo ad alcune società concessionarie autostradali, trascinandosi dietro le critiche di tutta Europa. Infatti si chiedevano come fosse possibile che lo Stato avesse firmato delle concessioni in capo ad alcune società concessionarie per poi rivedere le sue posizioni azzerandole in maniera unilaterale. In realtà nè Di Pietro nè altri parlamentari del centrosinistra, componenti della maggioranza che sosteneva il governo di allora, hanno proposto modifiche alla cosiddetta Legge Obiettivo. In pratica non sono stati avviati nei due anni di vigenza del governo Prodi iniziative finalizzate a modificare quelle norme. Devo desumere che tutto questo è avvenuto perchè la maggioranza di centrosinistra, pur senza averlo mai dichiarato, in realtà nei confronti della Legge Obiettivo non è mai stata particolarmente critica perchè si rendeva conto che costruire delle corsie preferenziali per le opere strategiche era una scelta accettabile. Noi con la Legge Obiettivo abbiamo stabilito che per i progetti delle opere strategiche il VIA si fa sul progetto preliminare e non sul progetto definitivo, come si fa per le opere non strategiche. Ancora sulle opere strategiche all’interno della Legge Obiettivo il governo ed il Consiglio dei Ministri coinvolgono le Regioni e non tutti i comuni sparsi sul territorio. Questi due aspetti della legislazione hanno funzionato perchè sulla questione del VIA dal 2008 al 2010, in base ai dati che ci risultano, sono stati esaminati progetti superiori ben 4 volte rispetto al periodo 2006-2008. A prescindere da questo, basterebbe anche dare uno sguardo al numero di progetti approvati prima del varo della Legge Obiettivo per avere la dimensione del successo della nuova legislazione: infatti prima del varo di questa norma si approvavano circa 10 progetti all’anno. Adesso a livello di VIA nazionale sono circa 30 i progetti approvati. Quindi c’è stata una velocizzazione e perciò una ricaduta positiva. Il fatto di non avere l’obbligo di registrare il consenso dei piccoli comuni ha sveltito le procedure e noi liguri possiamo essere testimoni pensando alla Torino-Savona.

Sul piano normativo credo che oggi il Codice così come si presenta possa essere migliorato, ma credo che quelle intuizioni inserite nella prima formulazione della Legge Obiettivo siano ancora valide ed i risultati lo stanno a dimostrare.

E’ vero che quando fu varato l’ambizioso piano nel 2001 fu fatto sulla base di un’ipotesi di investimenti per svariati miliardi e non del tutto realizzati, ma non c’è dubbio che in questo periodo proprio grazie al Codice degli Appalti molti progetti siano partiti. E per questo possiamo ben dire che è stato dato un contributo rilevante al rilancio delle infrastrutture. Basti citare un dato di sintesi ma significativo: nei 15 anni precedenti al 2002 sono state cantierate nel nostro Paese opere pubbliche per 15 miliardi; dal 2002 al 2011, con la parentesi di una stasi registratasi dal 2006 al 2008, sono state cantierate opere pubbliche per 80 miliardi di euro. Aggiungo che la nota della Corte dei Conti che dice che in realtà le opere partite sono 18 miliardi in realtà si riferisce ai SAL pagati.

Questo è il dato quantitativo che di per se è già significativo. Dopo di che, come è noto, sono state avviate diverse azioni nei confronti di opere strategiche. Potrei fare un elenco numeroso, ma al di là di questo è un fatto che noi possiamo registrare con grande soddisfazione l’avvio di molti progetti strategici. In più voglio dire che dal dopoguerra fino agli anni ’80 le infrastrutture sono state realizzate per oltre il 95 per cento con risorse pubbliche. Dalla fine degli anni ’80 fino alla fine degli anni ’90 tale incidenza si è ridotta al 90 per cento; oggi secondo un dato che ci ha fornito l’Ance, ma che conferma anche l’Unità tecnica della Finanza di Progetto, più del 30 per cento, siamo al 34 per cento, è realizzato in projetc financing. Per cui molte opere pubbliche ormai nel nostro Paese si fanno con il coinvolgimento dei capitali privati.

Nel periodo 2003-2008 le gare bandite con la tecnica della finanza di progetto sono state circa 1.950, per un importo complessivo di 26 miliardi di euro. Nel 2009 le gare bandite invece sono state più di mille con un importo di oltre 10 miliardi. Perciò il ricorso al project financing sembra funzionare ed anche per questo ho intenzione di avviare un’iniziativa legislativa per realizzare il project di terza generazione. Penso ad una norma in cui il privato può fare una proposta all’amministrazione pubblica ancorchè quella proposta non sia stata inserita nel piano triennale o annuale di quella amministrazione pubblica, salvo poi lasciare alla stessa amministrazione il diritto di giudicare la proposta di interesse pubblico e quindi di accettarla o meno. In questo modo sarebbe possibile incentivare iniziative da parte di privati, che come sappiamo sono numerose e che consentirebbero di realizzare opere pubbliche nel nostro Paese.

La linea di lavoro così proposta potrebbe riguardare la realizzazione di parcheggi, di forni inceneritori, di porticcioli, di tronchi di autostrade, di ospedali, di cimiteri, in pratica tutte quelle infrastrutture che sono in grado di generare una redditività. Tutte le opere, quindi, che hanno una capacità di reddito devono essere progettate, realizzate e gestite da privati che proprio attraverso la gestione sono in grado di remunerare il capitale investito e di realizzare il giusto guadagno.

Detto ciò credo che sia possibile avviare una riflessione a dieci anni di distanza dall’approvazione della normativa. Un’analisi sulla bontà del corredo normativo approvato dal 2002 al 2006 deve però essere fatta tenendo presente ciò che è accaduto in Italia prima del 2002 (abbiamo vissuto una paralisi durata vari anni dal 1993 al 2001, al punto che in questo periodo di opere pubbliche nel nostro Paese ne sono state fatte veramente poche); inoltre per dare un giudizio su come ha funzionato questo insieme di norme, dalla Legge Obiettivo al Codice degli Appalti, occorre considerare il contesto finanziario all’interno del quale è scoppiata, proprio nel 2007, la più grave crisi che ha creato non pochi problemi in tutta Europa ed anche nel nostro Paese. In questo senso ritengo che si possa dire di avere dal 2002 al 2010 cantierato oltre 80 miliardi di euro di opere pubbliche. Un risultato assai lusinghiero se è vero che nei 15 anni precedenti al 2001 l’insieme delle opere pubbliche cantierate sono state inferiori ai 15 miliardi.

Per quanto riguarda la vexata quaestio di rivedere alcune norme inserite nella prima Legge Obiettivo, ad esempio se sia opportuno realizzare il VIA sul progetto preliminare oppure le regole che disciplinano la Conferenza di Servizi, ritengo che valga la pena confermare quelle norme perchè hanno dato risultati davvero soddisfacenti in termini di accelerazione delle procedure.

Il nostro Paese dispone di un corredo normativo assai positivo e per questo non dovrebbe essere oggetto di modifiche se non nel senso di migliorarlo in alcuni aspetti, per altro marginali. Al di là di queste esigenze però credo che sia opportuno rivolgere un appello affinchè tutte le istituzioni preposte a dare i “benestari” per la realizzazione di opere pubbliche, facciano fino in fondo la loro parte con grande coerenza. Mi riferisco al rispetto della tempistica che deve essere rispettata anche da chi, spesso, non la rispetta. Ad esempio la Sovrintendenza ai beni artistici. Per concludere sono due le riflessioni da fare: per un verso, certamente, abbiamo inserito nell’elenco delle opere strategiche un numero rilevante di progetti, anche se forse era meglio focalizzare l’attenzione su alcuni significativi e strategici progetti infrastrutturali. Ma su questa scelta hanno avuto un ruolo decisivo le Regioni, che hanno insistito soprattutto per allungare l’elenco. Per un altro verso penso che la linea di sviluppo del governo, sostenuta da una maggioranza convinta della validità del rilancio delle infrastrutture, debba proseguire puntando su progetti strategici e immaginando di porre il 2002 come punto di partenza rispetto al quale misurare la capacità di un’offerta infrastrutturale che va completata. In questo modo potremmo arrivare a 10 anni di distanza dal varo della Legge Obiettivo alla realizzazione completa di alcune infrastrutture strategiche che in successione sono:

1. Il completamento dell’autostrada Livorno-Civitavecchia-Roma-Latina-Formia-Napoli-Salerno-Reggio Calabria. Cioè l’intero Corridoio Tirrenico su cui gravitano i porti di Gioia Tauro, Salerno, Napoli, Civitavecchia, Livorno ed il sistema portuale ligure.

2. Il Ponte sullo Stretto di Messina

3. Il Sistema delle reti lombarde con la BreBeMi, la Tangenziale Est di Milano (TEM) e la Pedemontana Lombarda

4. Le grandi trasversali stradali e ferroviarie come l’autostrada Civitavecchia-Mestre, l’asse autostradale Fano-Grosseto E78, il quadrilatero Umbria-Marche, il completamento della CISA e l’asse ferroviario Pontremolese

5. I grandi assi stradali e ferroviari di supporto alle piastre logistiche come il collegamento autostradale con il porto di Ancona, il collegamento autostradale e ferroviario con il porto di Taranto, la ferrovia ad alta velocità Genova-Milano (Terzo Valico dei Giovi)

6. Il completamento del sistema ad alta velocità lungo l’asse Milano-Venezia-Trieste

7. L’adeguamento del sistema ferroviario meridionale come la tratta Battipaglia-Reggio Calabria, la tratta Palermo-Catania, il nuovo tracciato ferroviario Napoli-Bari

8. Il completamento funzionale di piattaforme logistiche come quelle di Savona, di Taranto, di Ravenna, di Trieste

9. Il completamento del sistema VTS, cioè del sistema di controllo reale della movimentazione delle navi nell’interno del sistema portuale italiano

10. Il completamento del Progetto Galileo

Accanto a questi interventi infrastrutturali e strutturali disporremo, sempre nel 2020, di una fiscalità comunitaria e regionale completamente diversa dall’attuale, di una reale liberalizzazione dell’offerta ferroviaria e di un rilancio del sistema cargo.

* presidente VIII commissione Senato della Repubblica

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