«Le imprese cooperative italiane negli anni della crisi sono cresciute a tassi superiori a quelli sia delle imprese di altro tipo che delle istituzioni pubbliche». Questo il primo dato che emerge dal rapporto di ricerca “La cooperazione italiana negli anni della crisi”, presentato stamattina a Roma dal centro di ricerca Euricse e dall’Alleanza delle Cooperative Italiane. Giunto quest’anno alla Seconda edizione, il documento restituisce un’approfondita fotografia del contributo diretto delle cooperative italiane al PIL e all’occupazione, oltre che del loro impatto complessivo sull’economia nazionale tra il 2008 e il 2011.
«Dal Rapporto Euricse emerge con chiarezza che le cooperative rappresentano una parte importante dell’economia del Paese» – ha sottolineato il Presidente dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, Giuliano Poletti. «La loro capacità di sviluppare la produzione, realizzare investimenti e tutelare il lavoro anche negli anni della crisi, con dinamiche migliori rispetto al resto delle imprese, dimostra la validità di un modello nato per dare risposte ai bisogni delle persone; di un’impresa che non cerca il profitto immediato, ma che valorizza la partecipazione responsabile dei soci per contribuire alla crescita di tutta la comunità». «Per questo -ha aggiunto Poletti- crediamo che la cooperativa sia uno strumento utile per favorire un nuovo protagonismo sociale, una partecipazione attiva dei cittadini che contribuisca alla costruzione di un nuovo modello di sviluppo, più equo ed inclusivo».
Dal Rapporto Euricse sulla Cooperazione si evince una maggiore capacità di tenuta delle imprese cooperative nei momenti di difficoltà per l’intero sistema produttivo. – ha precisato il presidente dell’Agci (Associazione generale cooperative italiane) e copresidente dell’Alleanza, Rosario Altieri. «Infatti, i dati che ci vengono presentati raccontano una crescita, seppur contenuta, del valore della produzione assicurato dal sistema cooperativo e da tutte le attività ad esso connesse, almeno fino al 2011. Dal 2012, il protrarsi della crisi ha provocato, anche nelle realtà cooperative, una leggera flessione che, comunque, risulta essere molto meno marcata rispetto a quella fatta registrare dalle altre forme d’impresa».
«L’impresa cooperativa anche negli anni di crisi ha dato prova di tenuta sociale ed economica sui territori dai quali non ha delocalizzato, ma ha continuato, seppur tra enormi difficoltà, a sviluppare occupazione» – ha concluso Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative e copresidente dell’Alleanza. «Questo ruolo mette in risalto l’importanza del pluralismo imprenditoriale che le cooperative esercitano con eccellenze nell’agroalimentare, nel welfare, nel credito e nelle nuove forme d’impresa quali le cooperative di professionisti. In paesi come Usa, Australia, Canada e Giappone c’è un’intensa attività governativa finalizzata allo sviluppo della cooperazione. L’UE punta, invece, all’omologazione delle forme d’impresa. L’Italia nel corso del semestre di presidenza dovrà farsi carico di suggerire politiche che valorizzino il ruolo della cooperazione».
Sintesi del dossier «La cooperazione italiana negli anni della crisi»
La rilevanza complessiva della cooperazione
Unendo tutte le varie fonti disponibili (tra cui anche il 9° Censimento dell’Industria e dei Servizi di cui si conoscono i primi risultati) si possono quantificare le cooperative italiane certamente attive in un numero compreso tra le 55 e le 60mila. Le cooperative, unitamente ai loro consorzi, hanno generato a fine 2011 un valore aggregato della produzione superiore ai 120 miliardi e hanno investito oltre 114 milioni di euro (escluse le cooperative che operano nel settore del credito e delle assicurazioni e le società di capitali controllate da cooperative). A fine 2011 le cooperative occupavano, a seconda delle fonti, una cifra compresa tra 1.200.000 e 1.300.000 addetti. Se si considerano tutte le posizioni lavorative attivate nel corso d’anno, compresi quindi i lavoratori stagionali, il numero sale a 1.750.000. Gran parte degli occupati (il 67% delle 1.750.000 posizioni lavorative registrate nel 2011, comprensive quindi anche degli stagionali) risulta inoltre assunto a tempo indeterminato, mentre le forme di lavoro più atipiche – in particolare quelle del lavoro a progetto – risultano marginali e in tendenziale contrazione.
Il contributo delle cooperative al Pil nazionale
Le analisi condotte da Euricse, non limitate alla determinazione dell’impatto diretto del valore della produzione o del fatturato della cooperazione sull’economia italiana ma finalizzate, attraverso l’elaborazione del conto satellite, a ricostruirne l’impatto complessivo (diretto, indiretto e indotto), evidenziano come il contributo del settore cooperativo sia stato nel 2009 pari al 10% del Pil nazionale e all’11% dell’occupazione, con 143 miliardi di valore aggiunto e quasi 2.500.000 unità di lavoro (occupati equivalenti a tempo pieno). In altri termini, nel calcolo del conto satellite è stato incluso sia il peso della produzione delle cooperative, sia quello determinato dalla domanda di beni e servizi intermedi rivolta alle imprese non cooperative (effetto indiretto), sia infine quello indotto sulla domanda finale dai redditi distribuiti dalle cooperative a soci e dipendenti (effetto indotto).
Il secondo risultato dell’analisi aggregata mostra che la diffusione, e quindi la rilevanza delle cooperative, varia significativamente da settore a settore.
Settori in cui è rilevante la presenza delle cooperative
La presenza cooperativa è rilevante soprattutto nel settore agricolo (dove il contributo al Pil e alle unità di lavoro sale ad oltre il 40%) e in alcuni comparti dei servizi, sia di natura più privata come il commercio e i trasporti, che di interesse pubblico come l’assistenza sociale e la sanità. Settore quest’ultimo in cui le cooperative sociali hanno generato nel corso del 2011 un valore della produzione pari a poco più di 7 miliardi e investito 5,5 miliardi di euro. Le cooperative ricoprono invece un ruolo marginale nel manifatturiero, con l’eccezione del settore delle industrie alimentari e delle bevande dove però operano soprattutto cooperative di imprenditori agricoli e non cooperative di lavoratori. La forma cooperativa si conferma quindi particolarmente idonea o nei settori dove il lavoro è il fattore strategico o in quelli dove l’aggregazione tra produttori consente, al contempo, di sfruttare le economie di scala e di mantenere un’elevata flessibilità nei processi produttivi alla base della catena del valore.
Le cooperative nella crisi
Sia i dati censuari sia quelli del Registro delle imprese confermano che il numero di cooperative, il fatturato e gli occupati sono cresciuti con continuità già a partire dagli anni ’90 e, almeno a partire dal 2000, a tassi superiori a quelli delle imprese di diversa natura, sia private che pubbliche. Una dinamica che non è solo merito di alcuni settori, ma che ha interessato praticamente tutto il mondo cooperativo, sia pure con alcune punte di rilievo tra cui in particolare l’industria, soprattutto quella alimentare e delle bevande, e la cooperazione sociale.
Nel corso della crisi poi, soprattutto negli anni iniziali, la dinamica delle varie forme cooperative è stata decisamente diversa da quella delle altre imprese. Le analisi presentate confermano, in particolare quando si considerano le cooperative per le quali si dispone di informazioni certe per tutto il periodo 2008-2011, la funzione anticiclica delle cooperative. Nonostante la crisi, infatti, tutte le variabili di interesse hanno registrato tassi di variazione positivi, sia in generale che nella maggior parte dei settori. Nel complesso nel 2011 la produzione è aumentata dell’8,2% e gli investimenti del 10,6%. E’ aumentato anche il tasso di patrimonializzazione e la maggior parte delle cooperative hanno migliorato il proprio equilibrio economico-finanziario.
L’andamento dell’occupazione
Positivo è stato anche l’andamento dell’occupazione, anche se le fonti statistiche disponibili segnalano tassi di variazione diversi. Secondo i dati elaboratori dal Censis (Censis, 2012) gli occupati in imprese cooperative sarebbero aumentati dell’8% tra il 2007 e il 2011. Stando ai dati INPS sulle posizioni lavorative attivate nel 2011 (comprensive quindi anche degli impieghi di durata inferiore all’anno) dalle cooperative già operative nel 2008 (escludendo quindi quelle nate successivamente) l’aumento rilevato dal Censis è derivato (come si vedrà più avanti) soprattutto dalle nuove cooperative vista la quasi stazionarietà degli occupati nelle cooperative già operative prima della crisi (+1,11%). Andamenti quindi in netto contrasto con la diminuzione di occupati registrata sia dall’insieme delle imprese che nel mercato del lavoro nel suo complesso.
Il confronto con le altre forme imprenditoriali
L’analisi comparata con le altre forme imprenditoriali (srl e spa) permette inoltre di osservare che le cooperative sono quelle che hanno registrato la dinamica più positiva, in generale e nella maggior parte dei settori. Il confronto tra l’universo delle cooperative e delle società per azioni con almeno 500.000 euro di fatturato per il periodo 2006-2010 evidenzia infatti come nel complesso la dinamica del valore della produzione e dei redditi da lavoro delle cooperative si sia discostata in modo netto da quella delle spa sia in ogni singolo anno che nell’intero periodo. Tra il 2006 e il 2010 la crescita del valore aggiunto dell’insieme delle cooperative ha raggiunto il 25% contro il 7% delle spa, mentre quella dei redditi da lavoro è stata del 30% contro il 13% delle spa.
Questi diversi andamenti sono confermati in tutti i settori a forte presenza cooperativa. La scomposizione dei tassi di crescita tra le possibili determinanti (collocazione geografica, settore di attività, struttura proprietaria) ha confermato che le differenze riscontrate vanno quasi completamente imputate alla diversa natura proprietaria, e solo marginalmente agli altri fattori. A conferma del fatto che la funzione anticiclica delle cooperative è da attribuire soprattutto al loro essere imprese con obiettivi e strutture proprietarie che tendono a salvaguardare l’interesse dei soci in quanto portatori di un particolare bisogno, piuttosto che di capitale di rischio.
Ma dietro queste diverse performance c’è anche una generale solidità patrimoniale e livelli di efficienza non dissimili da quelli della altre forme di impresa. Dal confronto statistico tra tutte le cooperative, le società a responsabilità limitata e le società di capitali che avevano depositato il bilancio per il 2009, realizzato utilizzando indicatori non influenzati dai diversi obiettivi delle forme di impresa, risulta che le cooperative, contrariamente a quanto spesso sostenuto dagli economisti, presentano buoni livelli di patrimonializzazione (salvo che nel settore agricolo, dove buona parte degli investimenti sono necessariamente effettuati dai soci) e sono caratterizzate da indicatori economico-finanziari più equilibrati rispetto alle società di capitali. Risulta inoltre esservi una correlazione diretta e positiva tra propensione alla patrimonializzazione e performance economiche, da una parte, e intensità della partecipazione dei soci alla vita della cooperativa, dall’altra.