La legge Pinto era stata approvata nel 2001 a scopi deflattivi sul numero esorbitante di ricorsi che giungono alla Corte dei diritti dell’uomo per eccessiva durata dei processi. Con successivi rimaneggiamenti, la legge ha già dato significativi risultati, incontrando però lo sfavore dei vertici giudiziari.
Una denuncia arrivò infatti nel 2010 dall’allora presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone. Secondo Carbone non era possibile rimandare la revisione delle norme approvate solo qualche tempo prima, alla luce di alcuni dati come il numero dei ricorsi per una giustizia troppo lenta, che aveva toccato quota 37.393 procedimenti arretrati. La conseguenza era quella di intasare le Corti d’appello che devono accogliere la domanda di risarcimento e di far crescere a dismisura il debito.
Sono stati allarmi di questo tipo a indurre il legislatore a rimaneggiare il provvedimento iniziale, con l’introduzione di criteri più stringenti per la richiesta di indennizzo, come la natura del procedimento. Questo avveniva dopo che già vi era stata difficoltà ad accogliere i parametri europei in materia di durata dei procedimenti, che oggi sono stati fissati in sei anni complessivi per i tre gradi di giudizio.
Nel processo civile il rimedio preventivo approntato dal legislatore è quello della proposizione del giudizio con rito sommario o delle richiesta di passaggio dal rito ordinario a quello sommario almeno sei mesi prima della conclusione dei tre anni massimi previsti per il primo grado. Termine valido anche nel caso in cui, in secondo grado, non sia possibile il giudizio sommario e si chieda quindi la decisione con trattazione orale. Nel processo penale invece il rimedio è quello dell’istanza di accelerazione, da presentare sempre entro i sei mesi dalla scadenza dei termini della ragionevole durata.
Gli effetti sono riscontrabili nel calo di oltre il 38% dell’arretrato ultratriennale dei procedimenti in sede civile, che passano da 650mila a 403mila. I processi che durano più di due anni in appello, invece, sono passati da 198mila a 126mila, per un decremento pari al 37%.
È stato il 2015 l’anno in cui per la prima volta il debito dello Stato nei confronti delle vittime di una giustizia troppo lenta è sceso. Secondo il ministero della Giustizia, questo risultato è frutto della diminuizione dei procedimenti a rischio indennizzo e del varo del piano straordinario per l’accelerazione dei pagamenti. Il debito è infatti passato da 456milioni a 336milioni, una riduzione pari al 27%.