Salute

Il bilancio della legge Basaglia, 40 anni dopo

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A 40 anni dalla legge Basaglia, la rivoluzione che portò alla chiusura degli ospedali psichiatrici (tristemente noti come manicomi), il bilancio è complessivamente positivo, pur con qualche ombra: «Abbiamo introdotto un modello nuovo, che sostituisce al trattamento del malato psichiatrico in senso esclusivamente contenitivo – li “rinchiudiamo” e risolviamo il problema – una concezione terapeutica, di inserimento, di socialità. Ed è un merito enorme». Questa la convinzione di Bernardo Carpiniello, presidente della Società italiana di psichiatria e direttore della Clinica Psichiatrica della Azienda Ospedaliero Universitaria di Cagliari. Proprio la Sip il 9 maggio alla Camera terrà una conferenza per fotografare, dati alla mano, in che stato si trova la cura della malattia mentale in Italia.

«La riforma di Basaglia ha cambiato radicalmente la psichiatria italiana, portandola nella modernità. Gli ospedali psichiatrici erano assolutamente antiterapeutici: enormi, con due o tremila persone, le terapie mirate erano impossibili. Lo psichiatra, fino a 40 anni fa, doveva semplicemente custodire il malato, ritenuto pericoloso socialmente: una concezione ottocentesca di mera passivizzazione della persona». Il paziente veniva sorvegliato, ma tenuto in una condizione di degrado, incompatibile con il XX secolo, descritte da tanti memoriali e ricordi. Oggi il ricovero esiste, ma «in unità operative più piccole all'interno degli ospedali, e non più con il concetto di custodia giudiziaria, ma seguendo le esigenze terapeutiche del paziente», ricorda Carpiniello. Inoltre, esiste una rete di servizi sociali diffusa su tutto il territorio e «strutturata sui dipartimenti di Salute mentale e i centri di Salute mentale con visite e terapie ambulatoriali o a domicilio. E poi, naturalmente – sottolinea l’esperto – ci sono le strutture semiresidenziali o residenziali, dove i pazienti, in numeri ridotti, possono interagire, vivere autonomamente, essere seguiti capillarmente dagli operatori».

Dunque, varie gradazioni terapeutiche che permettono al paziente di essere curato e non semplicemente “rinchiuso”. «Le riforme che sono state fatte in questi decenni in diversi paesi vanno sì verso l'umanizzazione delle cure – spiega lo psichiatra – ma non si ha il coraggio di chiudere queste strutture tout court. Noi l'abbiamo fatto, con coraggio, e con una delle leggi più democratiche al mondo».

Una rivoluzione che gli psichiatri hanno abbracciato: «Anche noi siamo usciti dalla logica manicomiale per passare a una logica di lavoro sul territorio, di equipe, multidisciplinare, che lavora insieme sulla persona – sottolinea il presidente Sip. Ovviamente non tutto va bene: alle molte luci si sommano anche diverse ombre. Il problema principale è che  «registriamo un progressivo sottofinanziamento della Salute mentale, che porta al depauperamento dei servizi, con un ricasco pesante su strutture, operatori, mezzi, dotazioni. Il risultato è che noi psichiatri siamo con la lingua di fuori, col fiatone». Anche perché nel frattempo una nuova riforma, “figlia minore” della Basaglia, ha eliminato un’altra stortura ma dato altro lavoro agli operatori: la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.

«Le Rems che li hanno sostituiti stanno prendendo piede nel territorio, ma le risorse sono poche, e questo ha portato ulteriori oneri che gravano sugli psichiatri», denuncia Carpiniello. I problemi non mancano, insomma, ma osservando con distacco questi 40 anni, oltre i quali si scaglia l'ombra inquietante degli enormi manicomi, è innegabile che una svolta sia avvenuta «C'e' tanto da fare – commenta lo psichiatra – ma quello che è stato fatto deve essere un orgoglio per il Paese, che in questo settore e' sicuramente un faro di modernità e tolleranza».

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