Secondo un’indagine dell’Università Queen Mary di Londra pubblicata sulle pagine della rivista Heart, il rischio di infarti e aritmie per chi ha avuto il covid-19 è maggiormente elevato, principalmente nel primo mese successivo all’infezione. L’impatto del virus rimane più evidente per i pazienti ricoverati ma anche chi è rimasto a casa durante l’infezione riscontra problemi, più o meno seri, al cuore; il tutto indipendentemente dalla vaccinazione.
Dalle informazioni della UK Biobank (tiene traccia della salute dei partecipanti nel tempo) sono state studiate le informazioni su 53.613 partecipanti: tra marzo 2020 e marzo 2021 sono 17.871 i soggetti ai quali è stata diagnosticata l’infezione da Covid-19, i restanti riguardano il gruppo di controllo.
I maschi hanno riscontrato maggiori problematiche a seguito dell’infezione: di tutti i soggetti infettati, poco più di 14.000 sono stati seguiti da casa, 2.701 sono stati ricoverati ed a poco meno di 1.000 sono state diagnosticate altre patologie. Il monitoraggio è durato quasi cinque mesi.
Diversi i parametri tenuti in considerazione dai ricercatori, dall’ictus all’arresto cardiaco, fino all’infarto e alla fibrillazione atriale. Rispetto al gruppo di controllo, i soggetti ricoverati a causa del covid-19 hanno visto salire più di 21,5 volte la probabilità di riscontrare diagnosi di scompenso cardiaco e 17,5 volte in più la probabilità di avere un ictus. Il rischio di avere un infarto è di quasi 10 volte più alto.
Le patologie cardiovascolari diagnosticate sono risultate essere maggiori entro i primi 30 giorni dall’infezione, soprattutto per chi è stato ricoverato in ospedale per Covid-19. Per quanto riguarda principalmente l’insufficienza cardiaca e la fibrillazione atriale, il rischio in aumento si è mantenuto costante anche oltre i 30 giorni. Va specificato che lo studio non ha considerato le infezioni ripetute né l’impatto della vaccinazione.
Dalle dichiarazioni dei ricercatori “i risultati evidenziano l’aumento del rischio cardiovascolare degli individui con infezione pregressa: è probabile che sia maggiore nei paesi con accesso limitato alla vaccinazione e quindi una maggiore esposizione della popolazione al Covid-19. Questi rischi sono quasi interamente limitati a quelli con malattie che richiedono il ricovero in ospedale e più alti nel primo periodo (primi 30 giorni) dopo l’infezione”.