Nelle cronache degli ultimi mesi c’è un nome che difficilmente l’opinione pubblica dimenticherà. È quello di Cambridge Analytica, la società che fu travolta dallo scandalo sull’utilizzo improprio dei dati degli utenti di Facebook. La società adesso torna a far parlare di sé per la sua decisione di "chiudere bottega". Dopo la bufera che l’ha colpita, infatti, Cambridge Analytica ha visto i suoi clienti sparire e le spese legali aumentare di giorno in giorno.
La società nacque nel 2013, nella veste di divisione della già esistente Scl Group, e spiccò il volo grazie ai fondi raccolti dal repubblicano statunitense Steve Bannon. Fu proprio quest’ultimo, poi, a far acquisire grande notorietà alla compagnia, portandola a lavorare per la campagna presidenziale di Donald Trump.
In un comunicato diramato dall’azienda, si può leggere che «negli ultimi mesi Cambridge Analytica è stata oggetto di numerose accuse infondate e, nonostante gli sforzi della società di correggere le informazioni, – continua la nota – è stata denigrata per attività che non solo sono legali ma sono ampiamente accettate».
La compagnia prosegue nella linea della non colpevolezza. I nomi al centro dello scandalo sono quelli di Alexander Nix, ex amministratore delegato di Cambridge Analytica, e quello di Brad Parscale, addetto di Trump ai social network. I due collaborarono insieme al cosiddetto “progetto Alamo”, che in campagna elettorale bombardò i cittadini statunitensi con propaganda mirata e strutturata in base ai dati sensibili collezionati da Aleksandr Kogan, dell’università di Cambridge, tramite l’app This is your digital life. Quest’ultima portò 270 mila persone a cedere coscientemente i loro dati, informati però del fatto che sarebbero stati utilizzati solo a fini accademici. In realtà questa “base” di utenti, di cui 57 erano italiani, si rivelò necessaria per accedere ai dati di quasi 87 milioni di persone, di cui 214mila residenti in Italia.
La tempesta per Cambridge Analytica arrivò a metà del marzo scorso. I quotidiani anglo-americani The Observer, The Guardian e New York Times rivelarono in esclusiva la violazione dei profili Facebook degli elettori americani. Fu un ex dipendente, Wylie, a spiegare la situazione: «Abbiamo sfruttato Facebook per raccogliere i profili di milioni di persone. – confessò – E abbiamo costruito modelli per sfruttare ciò che sapevamo su di loro e mirare ai loro demoni interiori. È su questa base che l'intera società è stata costruita».
La colpa di Zuckerberg e del suo Facebook fu quella di aver scoperto la violazione già a fine 2015 e di non aver avvisato gli utenti. Furono semplicemente presi dei provvedimenti per contrastare il fenomeno, che tuttavia si rivelarono poco utili.
Dopo lo scandalo, l’ad era stato sospeso ed un’indagine interna era stata avviata da Cambridge Analytica per chiarire la questione. Nix non poteva più essere tollerato dalla società e dall’opinione pubblica dopo che in un servizio di Channel 4 aveva consigliato a un giornalista, fintosi un cliente interessato di adottare strategie che prevedessero corruzione e ricatti.
Tuttavia dalla Scl dipendono moltissime altre aziende, il cui destino potrebbe essere assai diverso da quello di Cambridge Analytica. Ma mentre questa società affonda e con lei anche Alexander Nix, Zuckerberg riesce a guidare Facebook anche attraverso la tempesta, con grandi novità in arrivo, e Brad Parscale continua a lavorare nello staff del Presidente Trump.