Politica

Magistratura indipendente alla seduta CSM del 18 ottobre

Onorevole Ministro, desidero porgerLe, anche a nome dei colleghi Pepe e Racanelli, il più sincero benvenuto in questa Aula e La ringrazio dell’attenzione che, con la Sua presenza, che costituisce una preziosa occasione di ascolto e di confronto, ha voluto manifestare al Consiglio Superiore della Magistratura.
Intendo utilizzare il tempo, necessariamente breve, a mia disposizione per soffermarmi su quelle che noi riteniamo essere le questioni più rilevanti che riguardano il sistema giudiziario del nostro Paese che, purtroppo, ancora non può vantare un’amministrazione della giustizia che, per efficienza, possa competere con gli altri Paesi dell’Unione europea.
Non è certamente questa la sede, né avrei il tempo per farlo, per avventurarmi  in un’analisi delle cause che hanno condotto all’attuale situazione.
E’ sufficiente ricordare come negli ultimi cinque lustri la giustizia, civile e  penale, sia stata interessata da ricorrenti modifiche e riforme, intervenute il più delle volte a macchia di leopardo, che hanno comportato conseguenze sulla stessa certezza del diritto.
A fronte di tale alluvionale, quasi inarrestabile produzione legislativa, potrebbe dirsi col Manzoni che “Le gride non mancano, anzi diluviano”.
Un tempo la certezza del diritto costituiva il punto fermo della legislazione.
Ad Atene, allorquando si proponeva una modifica legislativa venivano nominati i magistrati che difendevano la legge esistente, in contraddittorio con i proponenti del cambiamento.
Nella Roma antica la certezza del diritto costituiva il fondamento dell’ordinamento giuridico.I romani accettavano e applicavano un concetto di certezza del diritto il cui senso era che il diritto non doveva mai essere subordinato alla volontà e al potere arbitrario di qualsiasi assemblea legislativa e di qualsiasi persona, compresi i senatori e gli altri magistrati importanti dello Stato.
Oggi, per ogni vicenda attuale si invoca una “nuova” legge, a una legge sempre  diversa si demanda la soluzione di vecchi problemi, in un parossismo tanto emotivo quanto miope, che riesce ormai incomprensibile anche ai partner europei,oltre che agli operatori nazionali.
Questa situazione è ancor più grave nel nostro Paese, che negli ultimi decenni ha assistito ad una sempre maggiore giurisdizionalizzazione dei conflitti sociali, e che, anche a causa dell’inefficienza dell’apparato amministrativo e dello sproporzionato aumento della classe forense, che non ha eguali nel mondo occidentale, ha finito con l’intasare le aule di giustizia, incidendo negativamente sui tempi ragionevoli di durata dei processi.
Signor Ministro, siamo consapevoli del fatto che la credibilità della Magistratura si gioca sul campo del recupero di funzionalità della giustizia, e pensiamo che, per il conseguimento di tale obiettivo, siano necessari soprattutto una definitiva opera di semplificazione delle regole processuali e reali ingenti investimenti in risorse ed uomini. Peraltro, il nuovo ordinamento giudiziario, approvato con larghissime maggioranze nel corso delle precedenti due legislature, ha apportato un profondo  rinnovamento e credo che la precedente consiliatura abbia lavorato con impegno per realizzare le innovazioni volute dal Legislatore.
Ciò di cui abbiamo bisogno – di cui il Paese e la magistratura hanno bisogno – è che quest’opera di modernizzazione sia portata a termine in conformità all’indirizzo dato dal Parlamento. Senza però ulteriori interventi destinati persino a modificare il quadro costituzionale di riferimento o nuovi cambiamenti che, sopraggiungendo in corso d’opera, non consentirebbero la compiuta attuazione della riforma del 2006/2007 e soprattutto quella necessaria
valutazione della bontà delle scelte in quegli anni a grande maggioranza introdotte.
Migliorare la giustizia si può e si deve, senza modificare l’attuale assetto costituzionale.
Questo Consiglio è seriamente impegnato ad introdurre regole di moderna organizzazione e già sono in fase di elaborazione possibili interventi di modifica delle circolari, finalizzati a semplificare le regole attuali, a responsabilizzare maggiormente i dirigenti degli uffici e ad agevolare il ricorso a taluni istituti, quali le applicazioni extradistrettuali. Si avverte la necessità di una riflessione su modelli organizzativi che permettano una migliore e più razionale utilizzazione della magistratura onoraria, della quale non è più possibile fare a meno.
Per l’elaborazione di modelli organizzativi efficienti è però necessario che gli uffici siano forniti di adeguati strumenti di misurazione dei flussi, oggettivi e seriamente controllabili.
Crediamo che per l’efficienza dell’organizzazione sia ormai indifferibile un intervento in tema di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, da tutti noi evocata, intervento che non solo è a costo zero, ma che potrebbe comportare anche un rilevante risparmio di spesa, oltre ad un recupero di energie.
Grande preoccupazione desta la situazione degli organici del personale, di magistratura ed amministrativo, e ne parlo perché il problema investe direttamente l’organizzazione degli uffici.
E’ già stato detto, ma voglio ribadirlo: attualmente abbiamo una scopertura di oltre 1.200 unità di magistrati che sarà assai difficile colmare in tempi
accettabili. La recente normativa finanziaria di cui alla legge n. 122 del 2010 ha previsto, poi, risparmi di spesa ottenuti mediante la rateizzazione delle liquidazioni.
Detto provvedimento rischia di produrre un vero e proprio esodo di tutti quei magistrati che intendono sottrarsi alla rateizzazione ponendosi in quiescenza entro la data del 30 novembre 2010, fissata dal Legislatore quale termine ultimo per godere della corresponsione del trattamento di fine servizio in unica soluzione. Dalle informazioni degli uffici competenti sembra che tale anticipato esodo riguardi circa 350 magistrati.
Se tutto ciò dovesse verificarsi i danni all’organizzazione della macchina giudiziaria sarebbero davvero enormi perché v’è il concreto rischio che, contemporaneamente, lascino il servizio numerosi magistrati forniti di maggiore esperienza.
Il pensionamento di magistrati che in larga parte occupano i vertici dell’organizzazione giudiziaria creerà una spinta verso una mobilità verticale che rischia di pregiudicare in modo definitivo il primo grado, già afflitto da gravi carenze d’organico.
Noi pensiamo che a questi pericoli si possa porre un argine attraverso un’interpretazione della nuova normativa che non intacchi le attuali modalità di corresponsione del trattamento di fine servizio per chi si trovi nelle condizioni di goderne alla data del 30 novembre 2010, in modo da garantire la permanenza in servizio di tale personale o comunque un esodo graduale e maggiormente gestibile.
Una tale interpretazione, che auspichiamo possa essere condivisa e sostenuta dal Ministro della Giustizia anche con eventuali interventi normativi d’urgenza, non sembra possa incidere sui programmati risparmi di spesa.
Infatti, i trattamenti di fine servizio devono esser comunque corrisposti in unica soluzione al personale che decide di andare in quiescenza entro il 30 novembre 2010, mentre l’auspicato rinvio dell’uscita dal ruolo consentirebbe di evitare un immediato onere dovuto al pagamento nel corrente anno di un gran
numero di liquidazioni.
Desidero, signor Ministro, aggiungere alcune brevissime considerazioni.
La prima è dettata dalla mia recente esperienza di giudice disciplinare.
Non è vero che la sezione disciplinare sia portata per sua natura all’indulgenza.
Al contrario, analisi statistiche condotte da organismi europei hanno confermato che il sistema disciplinare nel nostro Paese è rigoroso. Ma chi ha vissuto per decenni all’interno degli uffici giudiziari e ne ha conosciuto le difficoltà organizzative si interroga sul vigente sistema sanzionatorio e si chiede se lo stesso sia adeguato e se non possa esser migliorato.
Il pensiero va, soprattutto, ai “ritardi” nel deposito dei provvedimenti, illecito disciplinare che spesso e sorprendentemente colpisce proprio i magistrati che si caratterizzano per maggiore produttività.Mi chiedo se in tali casi ciò che interessa al Paese è la punizione o non sia più rispondente all’interesse generale che si trovi una via diversa, che miri ad evitare che quei ritardi si verifichino.
L’applicazione anche di una sanzione minima, ma grave, come la censura, è realmente adeguata? contribuisce a rimuovere le cause dei ritardi? o, al contrario, potendo incidere negativamente sulla valutazione di professionalità,non finisce per demotivare?
Perché allora non introdurre come sanzione minima la partecipazione del magistrato a corsi di formazione in tema di organizzazione, ovvero perché non prevedere che la positiva frequentazione di tali corsi possa consentire la riabilitazione del condannato?
La seconda considerazione riguarda i tempi della giustizia civile.Anche la migliore delle possibili leggi processuali dovrà scontrarsi con la mole dell’arretrato.
So, signor Ministro, quanto la risoluzione di questo problema Le stia a cuore e spero che Ella possa trovare una soluzione adeguata, contemperando le giuste esigenze di celerità della giustizia con il dovuto rispetto dei diritti coinvolti.
Il carico sulle Corti distrettuali è ormai divenuto insostenibile e non è più differibile un intervento sul giudizio d’appello, soltanto lambito dai più recenti interventi legislativi.Concludo con un’ultima osservazione.
Un progetto organizzativo serio, e come tale realizzabile, a nostro avviso passa anche attraverso la fissazione dei c.d. “carichi esigibili” di lavoro, per la cui fissazione è necessaria un’attenta analisi dei flussi e della disponibilità di persone e mezzi. Sarebbe auspicabile il comune impegno del Consiglio e del Ministero nell’individuazione di tali dati che costituiscono variabili diverse a seconda dei differenti uffici giudiziari.Solo attraverso la fissazione di tali valori sarà possibile indicare in via preventiva – come avviene in ogni moderna struttura produttiva – seri obiettivi raggiungibili, verificarne il conseguimento e le cause della eventuale mancata realizzazione; solo allora sarà possibile sanzionare con serenità i negligenti e valutare con obiettività i dirigenti e sarà possibile introdurre elementi di maggiore serenità per la categoria e, soprattutto, per i cittadini, i quali potranno conoscere, in via preventiva, le reali capacità del sistema di far fronte, in tempi ragionevoli, alle esigenze di giustizia della collettività.
Le chiedo, signor Ministro, di condividere con noi – per quanto di Sua competenza – questo impegno organizzativo, diretto alla definitiva realizzazione della vigente legge di riforma ordinamentale.
La ringrazio vivamente per l’ascolto che ha voluto dedicarmi.

* componente del Consiglio superiore della Magistratura, esponente di Magistratura indipendente

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