Giustizia Quotidiana

Roberto Piscitello, il magistrato antimafia che collabora con Alfano

Roberto Piscitiello

Governo di «mafiosi», come gridavano i manifestanti di Italia dei Valori e Partito democratico la scorsa settimana in piazza Montecitorio? Tutto può essere, ma sicuramente ci sono motivi per pensare il contrario. Roberto Piscitello è stato pubblico ministero di punta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e da quasi tre anni è uno dei principali collaboratori del ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Prima come vice capo di gabinetto, ora come direttore generale del personale e della formazione, Piscitello per anni è stato in trincea a combattere i mafiosi veri, rischiando ogni giorno di rimetterci la pelle. Ipernoto esponente della corrente di Magistratura indipendente, ha espresso più di una perplessità sulla richiesta di Magistratura democratica e Movimento per la giustizia alle toghe in servizio al ministero di non collaborare più con l’attuale esecutivo e di rientrare così in servizio nei ranghi della giurisdizione.
A voce alta ripubblica per i suoi lettori l’intervista, a firma Giovanni Bianconi, rilasciata da Piscitello al Corriere della Sera il 14 marzo scorso.
Imbarazzato, dottor Piscitello? «Sinceramente no. Non mi sento in conflitto con la mia coscienza, né di dover fare un passo indietro. Piuttosto mi piacerebbe che si aprisse un dibattito serio mettendo su un piatto della bilancia i vantaggi di avere dei magistrati in posti chiavi del dicastero, e sull’ altro i pericoli di una pretesa contaminazione politica. Qualora, valutati i pro e i contro in maniera approfondita, l’ Anm decidesse che ce ne dobbiamo andare, allora mi adeguerò. Ma vorrei che si valutassero anche tutti i rischi a cui si andrebbe incontro». Per esempio? «Che siano dei magistrati ad occuparsi delle autorizzazioni ai colloqui investigativi, in cui avvengono parziali svelamenti di delicati temi d’ indagine, è una garanzia. Io ogni giorno parlo con colleghi che mi rappresentano i problemi dei rispettivi uffici, e sono ben lieti di avere come interlocutore un magistrato che comprende le loro necessità meglio di altri». Però molti suoi colleghi, a cominciare dal vertice dell’ Anm, dicono che questa proposta di riforma snatura l’ assetto della Costituzione sulla quale avete giurato. Lei non lo pensa? «All’ articolo 138 la Costituzione prevede che, con una particolare procedura, si possano introdurre modifiche. Il testo su cui abbiamo giurato contiene anche questa possibilità. Non mi pare che siamo in una situazione di emergenza democratica. Anche per questo io chiedo una riflessione collettiva e approfondita: chi stabilisce che la misura è colma? Chi fissa l’ asticella oltre la quale certe riforme non sono accettabili?». Potrebbero risponderle: la garanzia dell’ autonomia e indipendenza del pubblico ministero dalla maggioranza politica e dal potere esecutivo. «La sottoposizione dei pm al potere esecutivo sarebbe letale per l’ equilibrio del sistema, ma non mi pare sia all’ ordine del giorno. Però ci sono patologie segnalate non da ora e non solo da questa maggioranza politica, che credo sia lecito affrontare. Io non voglio entrare ora nel merito dei problemi, ma bisognerà scrivere delle leggi di attuazione della riforma sulle quali occorrerà vigilare anche per tamponare possibili effetti che pure a me paiono discutibili e dannosi». A che cosa si riferisce? «In particolare alla responsabilità diretta dei magistrati, che potrebbe seriamente condizionarne l’ attività. E mi auguro che su questo punto in Parlamento si raggiunga una maggioranza qualificata sulla ragionevole applicazione di questo principio, perché temo che in caso di referendum i cittadini l’ approverebbero. Credo che pure in questo frangente i magistrati al ministero possano svolgere un ruolo importante per evitare o limitare possibili danni». Anche per questo pensa di rimanere nel suo attuale incarico? «Io in questo momento, da magistrato, ricopro una funzione prevista dalla legge. Mi domando: questo governo si sta muovendo dentro i percorsi indicati dalla Costituzione o siamo in una specie di situazione libica della giustizia? L’ unica accusa che non mi sento di poter accettare è di restare attaccato alla mia poltrona mentre si sta rovesciando l’ ordine democratico. Non è così. Se e quando si stabilirà, magari con una proposta di legge che prescinda dalle maggioranze politiche del momento, che l’ attrito fra il potere politico e il potere giudiziario sia tale da ritenere inopportuna la presenza di magistrati al ministero, allora ne prenderò atto».

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