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Ricordando il funerale di Wojtyla

Giovanni-Paolo-II
Scritto da vocealta

Giovanni-Paolo-II«Arriva lo Spirito Santo», amava dire Giovanni Paolo II quando, durante una cerimonia, si levava il vento. E il giorno dei suoi funerali, l’8 aprile 2005, il vento si alzò forte, quando la bara di cipresso col corpo del Papa uscì, portata a spalla, su piazza San Pietro, facendo svolazzare le vesti rosse del lutto papale dei cardinali e sfogliando le pagine del Vangelo posato sul feretro, fino a chiuderlo.

«Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice», disse, applauditissimo, alla fine dell’omelia il cardinale Ratzinger, che nella sua qualità di decano del Collegio cardinalizio, presiedette il rito.

Alle esequie parteciparono 46 capi di Stato e 8 vice-capi di Stato, 17 primi ministri e 4 vice-primi ministri, 3 principi ereditari, 13 responsabili di organizzazioni internazionali, a partire dal segretario dell’Onu, Kofi Annan, e tanti ministri.

Più di quanti se ne fossero mai visti insieme a una assemblea dell’Onu: kefiah sauditi e turbanti neri iraniani che salutano kippa ebree; cattolici, luterani, anglicani, musulmani, ebrei, buddisti: tutti insieme attorno alla bara del Papa.

Trecentomila fedeli riuscirono ad arrivare a San Pietro e a riempire la piazza, via della Conciliazione e anche il lungotevere fino a Castel S. Angelo. Molti i giovani. Su tutti sventolavano bandiere di ogni dove: Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Usa, Romania, Croazia, Libano, Nigeria, Kosovo, Samoa. Ma le più numerose erano quelle polacche.

Stanislaw Dziwisz, il segretario di Wojtyla fin dai tempi di Cracovia, era seduto, in lacrime, tra i prelati del Vaticano, come prefetto aggiunto di Casa pontificia, allora sua carica ufficiale. Alle sue spalle i volti pallidi di Angelo Gugel, il cameriere, e delle suore polacche dell’appartamento. La ‘famiglia’ del Papa. La commozione passò anche sul volto di re Juan Carlos e dello stesso cardinale Ratzinger. E su quelli dei quasi 4.000 giornalisti che seguirono la cerimonia. ‘Santo subito’ c’era scritto su uno striscione e anche sul fianco di una delle torri costruite dal Pontificio consiglio per le comunicazioni sociali, per ospitare centinaia di televisioni e di fotografi di tutto il mondo.

Nella sua omelia il cardinale Ratzinger indicò nel ‘Seguimi’ che Gesù rivolse a Pietro dopo la Risurrezione, la ‘chiave’ per capire la vita del Papa. «Al ‘Seguimi!’ – sottolineò il cardinale tedesco – Giovanni Paolo II obbedì da vescovo e poi da Papa, quando ‘ha potuto portare un peso, che va oltre le forze puramente umane: essere pastore del gregge di Cristo, della sua Chiesa universale. Nel primo periodo del suo pontificato il Santo Padre, ancora giovane e pieno di forze, sotto la guida di Cristo andava fino ai confini del mondo. Ma poi sempre più è entrato nella comunione delle sofferenze di Cristo. E proprio in questa comunione col Signore sofferente ha instancabilmente e con rinnovata intensità annunciato il Vangelo, il mistero dell’amore che va fino alla fine. Per tutti noi – concluse Ratzinger, che ancora non lo sapeva, ma da lì a poco avrebbe preso il posto di Wojtyla – rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del Palazzo Apostolico e un’ultima volta ha dato la benedizione Urbi et orbi. Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice».

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