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Un finale accattivante. O no?

Le bizze di Ibra, la spavalderia di Balotelli, l’anzianità di Figo e Viera (titolari a Napoli) e l’antipatia contagiosa di Mourinho fanno da contorno al declino nerazzurro delle ultime settimane. Caratterizzato da un elemento incontrovertibile: l’assenza di quella rabbia, di quella tensione mentale e fisica che hanno reso grande l’Inter dell’ultimo triennio. In casa col  Palermo, a Torino e a Napoli è mancata proprio la personalità, la concentrazione. In poche parole: la voglia di vincere. La disfatta inglese, nella tanto desiderata Champions, ha fatto riemergere vecchi mali della corazzata morattiana. Che a livello di gestione societaria, nonostante i successi italiani degli ultimi anni, dimostra di avere ancora tanto da imparare da altri blasonati sodalizi. Dall’altra parte del capoluogo lombardo c’è invece un Milan che riscopre la solidità di un tempo. Una difesa sorprendentemente attenta, un nuovo Kakà e la solita vena realizzativa di Pippo Inzaghi sembrano far presagire una pazza rimonta. Chiariamo: sette punti sono tanti, probabilmente troppi. E anche il calendario strizza l’occhio ai “Mourinho boys”. Ma a favore dei rossoneri gioca una condizione psicologica nettamente favorevole, perché a questo punto vale la logica del “proviamoci, vada come vada…”. Mentre per i cugini resta vivo l’incubo romano del 5 maggio 2002. Il dilemma principale è questo: riuscirà l’Inter ad essere più forte delle sue paure? Ultima e non trascurabile considerazione: i gufi sono tutti dalla parte del Diavolo. Perché i “zeru tituli” rinfacciati ai colleghi, lo scarica barile arbitrale, l’assenza di obiettività e più in generale l’ingombrante ma anche affascinante personalità dello “Special One” attira i giornalisti, l’attenzione generale, ma anche le dure critiche di altri tifosi e appassionati e, nel peggiore dei casi, persino la sfiga.

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