Dress Codes

Suri Cruise e il baby biki push up di Abercrombie&Fitch

Provate a sfogliare una rivista, soprattutto una rivista femminile. Provate a contare le pagine di pubblicità dedicate ad abbigliamento per bambini. Provate a riflettere su quante di queste negli ultimi mesi sembrano aver subito una mutazione genetica: via i giocattoli, gli animali, i parchi gioco, i girotondi, praticamente via l’innocenza. Solo dettagli e pose ammiccanti: femminucce che trasudano malizia, maschietti che ostentano virilità. I bambini sono da sempre soggetti delle campagne pubblicitarie, e anche prediletti, così come è risaputo che tutte le spese in abbigliamento di una famiglia si concentrano su di loro quando arrivano. Fin qua nulla di male. Diventa una questione da tematizzare (altroché l’uso del corpo delle donne!) se cambia l’approccio, se viene cancellata la dolcezza che deve caratterizzare tutto ciò che ruota attorno al mondo dell’infanzia.
Quando è scoppiato il caso della figlia di Tom Cruise, molti esperti e molti giornalisti l’hanno sottovalutato: mica una bimba viziata da due genitori miliardari e famosi che pretende di mettere i tacchi e truccarsi può rappresentare un modello! Peccato che con il passare del tempo la piccola Suri ha fatto tendenza, il fenomeno si è esteso a macchia d’olio, il mondo della pubblicità l’ha intercettato e il risultato è che un brand conosciuto come Abercrombie&Fitch decide di mettere in commercio un bikini push up dedicato a bambine di otto anni.
Si può puntare l’indice contro la griffe americana oppure si può demonizzare la réclame di turno, ma forse prima bisognerebbe riflettere sulle responsabilità dei genitori e, soprattutto, delle mamme che nella maggior parte dei casi “hanno la delega” all’abbigliamento dei figli. L’essere fashion victim non è un valore da insegnare come l’onestà o la lealtà, anche perché il confine su quel versante è particolarmente labile.

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