Salute

Studio del MIT rivela il bersaglio terapeutico promettente per l’Alzheimer

Scritto da vocealta

Una delle domande più pressanti nell’ambito dello studio dell’Alzheimer è se la malattia colpisca tutte le parti del cervello in egual misura o se alcune popolazioni di neuroni siano più vulnerabili alla degenerazione e alla morte. Finalmente, uno studio condotto dal MIT ha individuato un gruppo specifico di cellule nervose nei topi che sembra essere particolarmente suscettibile ai danni causati da questa forma di demenza, risultando effettivamente in problemi di memoria quando colpite.

La scoperta, pubblicata sulla prestigiosa rivista “Science Translational Medicine”, potrebbe offrire un obiettivo specifico per le future terapie volte a rallentare la progressione della malattia, andando oltre gli aspetti più complessi e dedicati agli esperti dello studio.

Infatti, una delle prime regioni cerebrali a manifestare segni di neurodegenerazione nelle persone affette dall’Alzheimer sono i corpi mammillari, due protusioni situate nella parte inferiore sinistra e destra dell’ipotalamo, una piccola struttura posizionata tra i due emisferi del cervello.

Già nel 2019, la dottoressa Li-Huei Tsai, direttrice del Picower Institute for Learning and Memory del MIT nel Massachussets, aveva notato che nei topi affetti da demenza di tipo ALzhaimer, i corpi mammillari mostravano una densità più elevata di beta amiloide, l’accumulo proteico caratteristico dei cervelli affetti da questa sindrome. È noto anche che queste strutture celebrali svolgono un ruolo cruciale nella memoria.

Nel nuovo studio, lo stesso team di scienziati ha identificato un sottogruppo di neuroni nella parte laterale dei corpi mammillari dei topi che sembra essere più colpito dai danni neurali causati dall’Alzheimer e che risulta anche iperattivo, con un’alta espressione dei geni legati all’attività sinaptica e un numero maggiore di “scariche” rispetto ad altri neuroni dello stesso tipo.

Secondo i ricercatori, l’iperattività di questa popolazione di cellule sarebbe correlata alla progressione dei danni cellulari, che porta alla morte dei neuroni e a problemi nei circuiti cerebrali responsabili della memoria. Quando i ricercatori hanno somministrato ai topi un farmaco specifico, il levetiracetam, comunemente utilizzato per trattare l’epilessia e in grado di ridurre l’iperattività dei neuroni, le prestazioni mnemoniche dei roditori sono notevolmente migliorate.

Le stesse caratteristiche – iperattività e maggiori livelli di neurodegenerazione cellulare rispetto ad altri neuroni dei corpi mammillari – sono state riscontrate in un sottogruppo delle stesse cellule nei pazienti umani con Alzheimer, monitorati attraverso un database che raccoglie campioni post-mortem di tessuto cerebrale umano chiamato Religious Orders Study/Memory and Aging Project (ROSMAP).

La scoperta del MIT offre un nuovo punto di partenza per la ricerca sulla cura dell’Alzheimer, aprendo la strada a futuri approcci terapeutici mirati. Identificare un gruppo specifico di neuroni più vulnerabili al danno e all’iperattività rappresenta un passo fondamentale per comprendere meglio i meccanismi alla base della malattia e sviluppare trattamenti più efficaci.

Tuttavia, ulteriori ricerche sono necessarie per comprendere se queste strutture rappresentino effettivamente un obiettivo terapeutico promettente per il trattamento della progressione dell’Alzheimer e in che modo siano connesse ad altre parti del cervello coinvolte nei circuiti della memoria.

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