Giustizia Quotidiana

Stato-mafia, contro Mannino “prove inadeguate”

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Scritto da Super User

calogero-manninoIl papello, l’elenco con le richieste che Totò Riina avrebbe fatto allo Stato per fare cessare le stragi mafiose, è “frutto di una grossolana manipolazione” di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo e teste principale del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

Lo dice il gup Marina Petruzzella che ha depositato le motivazioni della sentenza con cui ha assolto uno degli imputati del processo sul presunto patto tra Cosa nostra e pezzi delle istituzioni, l’ex ministro dc Calogero Mannino.

Ciancimino “lo ha fornito solo in fotocopia senza dare di ciò alcuna motivazione plausibile, posto che la circostanza che si trovasse in cassaforte all’estero non avrebbe impedito la consegna dell’originale; – scrive il gup – ed è evidente che le fotocopie, con l’uso di carte e inchiostri datati, impediscano l’accertamento delle epoche degli originali, oggetto della copiatura”.

Il gup nelle motivazioni della sentenza con cui, il 3 novembre del 2015, ha assolto dall’accusa di minaccia a Corpo politico dello Stato l’ex ministro Mannino parla di prove «inadeguate», di «suggestiva circolarità probatoria», di «interpretazioni indimostrate». In oltre 500 pagine il giudice, che ha processato l’ex politico in abbreviato, sostiene che i pm non abbiano portato la prova che Mannino sarebbe stato il motore della cosiddetta trattativa tra lo Stato e la mafia.

Mannino scelse il rito abbreviato a differenza dei suoi coimputati accusati di avere, ciascuno nel proprio ruolo, dato vita al presunto patto che Cosa nostra avrebbe stretto con pezzi delle istituzioni negli anni delle stragi mafiose. Per gli ufficiali del Ros, gli ex politici come Marcello Dell’Utri, boss come Totò Riina, Antonino Cinà e Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Massimo Ciancimino è in corso un altro processo davanti alla corte d’assise di Palermo. «Non c’è qualcosa, come delle fonti orali o documentali che dimostrino – scrive il giudice – il collegamento tra l’iniziativa dei Ros di interloquire con Vito Ciancimino e l’evento ipotizzato dall’accusa di un accordo tra Mannino e Cosa nostra, per salvarsi e attuare un programma politico favorevole a una trattativa, volta a condizionare, partecipando alla volontà ricattatoria stagista della mafia, le scelte del Governo».

«Allo stato degli atti appare improvabile, da un punto di vista processuale, che applica i canoni della gravità e della precisione indiziaria degli elementi di fatto su cui fondare un ragionamento probatorio, collegare il fatto che Mannino si raccomandasse con i Ros alla interlocuzione tra i Ros e Vito Ciancimino e alla scelta di sostituire Scotti col manniniano Nicola Mancino e con le dimissioni successive di Martelli – prosegue – È ragionevole ritenere che i descritti comportanti di Mannino con Guazzelli e con i Ros siano stati determinati dalla volontà di trovare una protezione speciale, approfittando certamente della sua pregressa conoscenza con Subranni e dei privilegi che gli derivavano dal suo ruolo di potente politico». Il giudice parla di «elementi di sospetto, che non hanno quindi una grave e autonoma natura indiziaria» e che «se considerati come se possedessero tali connotati possono prestarsi ad interpretazioni facilmente ribaltabili e tutte analogamente plausibili e in fin dei conti prive di specifico valore dimostrativo processuale».

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