Giustizia Quotidiana

«Ruby bis», pene rimodulate per Fede e Minetti nel secondo appello

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È arrivata ieri la sentenza sul secondo processo in appello riguardante il caso giudiziario conosciuto come “Ruby bis”. Le condanne per Emilio Fede e Nicole Minetti sono state confermate, mentre le pene sono state lievemente abbassate. Infatti, mentre il pg di Milano Daniela Meliota aveva chiesto la conferma delle condanne del precedente appello, 4 anni e 10 mesi per l’ex direttore del Tg4 e 3 anni per l’ex consigliera regionale, i giudici hanno punito il primo con 4 anni e 7 mesi di reclusione e la seconda con 2 anni e 10 mesi

Le pene inflitte in questa seconda manche del grado d’appello sono le stesse che erano state assegnate nella prima, poi annullata con rinvio dalla Cassazione. I giudici della Suprema Corte avevano sostenuto che vi fosse «un vuoto motivazionale» nel primo verdetto di secondo grado, in quanto la Corte non aveva spiegato «in concreto» i reati contestati agli imputati nonostante «la meticolosità con la quale si è soffermata sui concetti generali in tema di prostituzione, induzione e favoreggiamento». 

Prima della sentenza, durante lo spazio dedicato alle arringhe dei difensori, aveva suscitato molta curiosità nell’opinione pubblica la tesi del legale di Minetti, Pasquale Pantano, il quale aveva paragonato la vicenda della sua assistita al caso tristemente famoso di dj Fabo. Secondo l’avvocato, infatti, come Marco Cappato aveva semplicemente aiutato Fabiano ad esercitare un suo diritto in libertà, così Minetti aveva aiutato le giovani ospiti delle serate berlusconiane nel libero esercizio della prostituzione

Il procedimento “Rudy Bis” nasce all’interno del filone giudiziario basato sulle dichiarazioni della giovane marocchina Karima El Mahrough sulle feste nella villa di Arcore con le famose “olgettine”. Nello specifico questo secondo troncone nasce quando la posizione di Silvio Berlusconi viene separata da quelle di Minetti, Fede e Lele Mora. La Procura chiese infatti per il Cavaliere il rito immediato a causa della sussistenza di «una prova evidente di colpevolezza» che poi non si rivelò tale, e l’ex premier venne assolto in via definitiva

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