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Quell’ingranaggio che trasforma gli assassini in eroi

Da Venezia a Rovigo. Un lungo viaggio fatto di angosce, malinconia, rabbia e soprattutto ricordi.
Sergio, in attesa del grande colpo, rivive nella sua mente gli anni della gioventù armata. Dai cortei alle auto incendiate. Fino agli atroci e incomprensibili delitti. In mezzo l’amore per la “compagna” Susanna, clandestino come la condizione di quei poveri uomini.  Ma dolce e intimo come tutti gli amori del mondo. Per tale motivo dissonante col resto dell’esistenza. E al contempo straordinario per la carica umana che sprigiona e che tampona idealmente la violenza.
A questo punto, più o meno inconsciamente, lo spettatore si ritrova a sperare al fianco del terrorista. Si mette quasi nei suoi panni e auspica il successo della missione: liberare la sua amata e le altre dal carcere femminile della cittadina veneta. E, quando ci riesce, a fatica trattiene dentro sé un pizzico di soddisfazione che non dovrebbe provare. Perché quella non è altro che un’impresa criminale.
La storia di uno dei gruppi armati che seminò morte nel nostro paese, nella seconda metà degli anni ’70,  rivive così sul grande schermo. Dal punto di vista dei suoi protagonisti.
E’  “La prima linea”, film al centro di mille polemiche. Perché si teme l’apologia del terrore, la mancanza di rispetto nei confronti di chi in quegli anni ha davvero sofferto e perso i propri cari.
Il personaggio principale recita il mea culpa più volte, sottolinea i suoi errori anche alla fine. Tutta la pellicola non nasconde i peccati, gravissimi, di quell’organizzazione che a un certo punto bagnò nel sangue la sua folle ideologia, sempre più morbosa. Una malattia che trasformava ragazzi in spietati assassini.
Il messaggio è chiaro: questi non sono eroi. Anche la commissione cinematografica del ministero lo ha riconosciuto e ne ha accertato persino il  valore culturale. Forse, però, non basta.
Per un motivo semplice: è pur sempre un film. E ha l’obbligo di intrattenere e appassionare chi lo guarda. Quindi il legame, tra pubblico e protagonista, diventa quasi naturale. Inevitabile.
Ma non è solo un problema de “La Prima Linea”.Tutte le pellicole che raccontano crimini realmente accaduti sono costrette a concedere, chi più e chi meno, qualcosa allo spettacolo. E allora l’omicida rischia ogni volta di trasformarsi in un mito. E il fascino innegabile di uno come Scamarcio certo non aiuta a scongiurare questo imprevedibile e incontrollabile ingranaggio.
La soluzione? Raccontare le storie anche dalla parte di chi ha subito e pagato, caro, le gesta folli dei tanti falsi eroi.
Ma accade di rado. Perché anche l’industria del cinema ha le sue ciniche regole. E le vittime, purtroppo, seducono meno dei carnefici.

 

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