Economia

Prof. Giovanni Tria: un “neokeynesiano” in via XX Settembre

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È stato il ministero più chiacchierato e controverso delle ultime settimane. Dopo il caso Savona e il rischio di far saltare la formazione del governo Lega-M5S, il Ministero dell’Economia (Mef) è finito nelle mani del Prof. Giovanni Tria. Un ruolo non da poco, che soprattutto dal 2001 in poi, dopo l’accorpamento dei ministeri di Tesoro, Bilancio, Finanze e Indirizzo economico, ha ricoperto un ruolo fondamentale nell’indirizzo politico dei governi. Come si legge sul sito del Mef, il ruolo del ministero è svolgere «le funzioni di indirizzo e di regia della politica economica e finanziaria complessiva dello Stato. In particolare, si occupa della programmazione della politica di bilancio e della progettazione e realizzazione degli interventi in materia di entrate e di spese dello Stato. Inoltre, gestisce il debito pubblico e le partecipazioni azionarie dello Stato». Non è quindi un caso che, negli ultimi anni, in via XX Settembre siano transitati principalmente dei tecnici, che sono stati l’ago della bilancia per l’operato di diversi governi.

Come successore del Professor Pier Carlo Padoan è stato scelto il Prof. Giovanni Tria. Scopriamo chi è e qual è il suo pensiero economico. Romano di 70 anni, è preside della Facoltà di Economia all’Università di Roma Tor Vergata. Si è formato alla Columbia University di New York, alla scuola di Edmund Phelps, premio nobel del 2006, nonché uno dei padri fondatori della scuola dei neokeynesiani.

Con il termine “keynesiano” si intende una scuola di pensiero economico che sostiene una maggiore influenza dello stato all’interno dell’economia ed è spesso contrapposto, in modo semplicistico, alla scuola “liberista” che non prevede l’intervento dello Stato all’interno dei processi economici.

La scuola neokeynesiana rappresenta la parte più ortodossa delle scienze economiche e combacia con il profilo conservatore del neoministro. Questa sostiene la possibilità di raggiungere l’equilibrio economico anche in presenza di disoccupazione perché per le imprese sarebbe impossibile ridurre gli stipendi all’infinito per rendere le imprese più competitive. Per questo motivo è necessaria la riduzione di organico da parte dei privati.

Rispetto al padre della teoria macroeconomica però, gli economisti dell’università di New York asseriscono che, in un contesto recessivo, gli scarsi investimenti dei privati possono essere compensati dagli investimenti pubblici. L’intervento dello Stato, quindi, non è una cura, ma una condizione necessaria per garantire le libertà collettive e individuali.

L’idea di Tria potrebbe essere quella di spostare l’imposizione fiscale dalle imposte dirette (Irpef) a quelle indirette (Iva), per ricavare maggiormente dai consumi degli italiani e meno dall’imponibile. Potrebbe essere questa per tranquillizzare i mercati e ridurre lo Spread? Ai posteri l’ardua sentenza.

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