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Bruxelles attiva art.7, sanzioni per l’Ungheria di Orban

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Durante la seduta plenaria del Parlamento europeo svoltasi oggi a Bruxelles, gli eurodeputati sono stati chiamati ad esprimersi sulla cosiddetta relazione Sargentini, che sosteneva la necessità di attivare l’art. 7 del Trattato sull’Unione Europea nei confronti dell’Ungheria. La norma prevede che – previa approvazione degli organismi comunitari – si possono applicare sanzioni a quegli Stati che violano i principi fondamentali della cultura giuridica, etica e sociale dell’Unione. Secondo la relazione presentata a Bruxelles, l’Ungheria del premier Viktor Orbàn avrebbe infatti gravemente infranto le regole basilari della democrazia, dei diritti fondamentali e dello Stato di diritto, modello condiviso da tutti i Paesi membri della Ue e considerato inoltre requisito minimo per accedere all’ente sovranazionale. È la prima volta nella storia che il Parlamento adotta una simile risoluzione. 

 

A favore hanno votato 448 deputati, 197 si sono espressi contro, 48 si sono astenuti, per un totale di 693 votanti. Una maggioranza del gruppo del Partito Popolare Europeo ha votato contro Viktor Orban, malgrado il fatto che il suo partito Fidesz faccia parte della famiglia politica del Ppe. Tra le delegazioni nazionali più grandi, la Cdu di Angela Merkel ha votato a favore della procedura contro l'Ungheria, mentre i popolari spagnoli e i Republicain francesi si sono astenuti. Gran parte dei deputati dei Socialisti&Democratici, dei liberali dell'Alde, dei Verdi e della Gue hanno votato a favore della procedura. A prendere le difese di Orban sono stati una maggioranza dei deputati dei conservatori dell'ECR, degli euroscettici dell'Efdd e dell'estrema destra dell'Efn

 

A favore delle sanzioni sono giunti i voti degli europarlamentari pentastellati. Unico nel gruppo Efdd (Europe of Freedom and Direct Democracy, il gruppo di Nigel Farage e dei partiti di ultradestra svedesi e tedeschi come SD e AfD) ad esprimere parere positivo, il M5S fa delle sanzioni una questione di coerenza. Secondo i pentastellati, infatti, sarebbe controproducente insistere con gli altri Stati membri perché accolgano i migranti senza sanzionare chi ha sempre chiuso i propri confini e rifiutato ogni proposta di collaborazione per la redistribuzione dei richiedenti asilo. È dura infatti la posizione espressa da Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri in quota 5S: «Per noi Orban è come Macron, entrambi mettono i loro interessi politici personali davanti al benessere collettivo minacciando la tenuta stessa dell’Unione Europea». 

 

Votano – paradossalmente – concordemente con il M5S anche gli europarlamentari dem che fanno riferimento a S&D (Socialists&Democrats). Sandro Gozi, del Pd, plaude al voto favorevole, spiegando come ad essere sconfitti sono anche «tutti coloro che hanno difeso Orban negando le gravi violazioni dello stato di diritto nel suo Paese, a partire da Salvini che lo vorrebbe imitare in Italia». «Netta sconfitta della Lega – conclude Gozi – e anche di Forza Italia, che ha perso un’altra occasione per dimostrare coerenza con la scelta europea che fa a parole ma smentisce nei voti». A sinistra anche Leu si esprime a favore delle sanzioni: Roberto Speranza, coordinatore nazionale di Mdp, scrive che «a Bruxelles Salvini e company sono solo pecorelle di Orban, che è il primo nemico dell’Italia e che nega ogni giorno i nostri valori costituzionali». Sul punto anche Laura Boldrini, che si chiede «che posizione assumerà Giuseppe Conte sull’amico di Salvini?». 

 

Forza Italia si compatta invece dietro il vicepresidente del partito, Antonio Tajani. Il presidente dell’Europarlamento, infatti, esprime perplessità sulla vicenda delle sanzioni che «non è chiara». Secondo Tajani «non ci sono i requisiti per avviare la procedura prevista dall’art. 7». Il numero due del partito di Berlusconi si chiede inoltre perché «non si sia fatto nulla contro Malta o contro la Slovacchia, dove ci sono governi di sinistra ma sono accadute cose ben più gravi, non si possono avere due pesi e due misure» dichiara Tajani, che chiude con una provocazione: «È una difesa dei valori o è un attacco politico nei confronti del Ppe?». Chiarifica la posizione del partito azzurro anche Mariastella Gelmini, capogruppo alla Camera. La deputata spiega infatti come il suo movimento voglia «affrontare le prossime elezioni europee essendo profondamente europeisti, ma il tema dell’immigrazione è forse l’unico che questo governo riesce ad affrontare con un tono diverso rispetto a chi governava prima». «Berlusconi – aggiunge Gelmini – essendo un democratico convinto sa bene che Orban nel suo Paese sta portando avanti una politica condivisa dalla sua gente e se cominciamo a pensare di rompere il rapporto tra eletti e elettori commettiamo un grave errore». 

 

A difesa di Orban non solo Tajani e Forza Italia, ma anche Lega e Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni, leader di FdI, ha da sempre espresso grande vicinanza ai temi e alle attività portate avanti dal premier ungherese: in occasione del voto di oggi, una delegazione del partito si è recata presso l’ambasciata ungherese al fine di mostrare solidarietà nei confronti di Orban. È la stessa Meloni a evidenziare il paradosso del governo italiano che si esprime in maniera divergente sulla questione: «i grillini non li capisco – dice – votare contro Orban in Europa equivale a disconoscere le politiche sull’immigrazione di Salvini che hanno sostenuto in Italia». Ancora più marcata la posizione di Matteo Salvini, che definisce «coraggioso» il discorso di Viktor Orban all’Europarlamento: «L’Ungheria non cederà a questo ricatto – dice il ministro dell’Interno – e proteggerà i propri confini, tutta la mia vicinanza e no alle sanzioni, no a processi a un governo liberamente eletto». A Salvini si aggiunge il capogruppo della Lega al Parlamento Europeo, Mara Bizzotto, che definisce le sanzioni «una pagina bruttissima per la democrazia e l’intera Europa»: «Orban – spiega la deputata – è vittima di uno squallido agguato politico orchestrato dalla sinistra filo immigrati e dalle lobby di potere della UE». Quindi l’invito, variamente condiviso da altri esponenti, a lasciare il Ppe, rivolto a Orban, dopo che una buona parte del gruppo ha votato a favore dell’applicazione dell’articolo 7. 

 

La palla passa adesso al Consiglio europeo, che riunirà i capi di Stato o di governo dei 28 Paesi membri che – deliberando a maggioranza dei quattro quinti – potranno confermare la decisione presa dal Parlamento. Il Consiglio deve prima ascoltare lo Stato membro e può anche rivolgergli delle raccomandazioni, quindi verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto alle valutazioni negative permangono validi.

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