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«Governo neutrale», la soluzione di Mattarella che incontra lo sfavore dei partiti

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Al termine delle consultazioni svoltesi ieri presso la Presidenza della Repubblica, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha parlato davanti ai giornalisti riuniti nella sala stampa della Vetrata al Quirinale, evocando subito, pur senza volerlo, una delle immagini più care al panorama della prima Repubblica: il governo balneare. L’espressione nata nel gergo giornalistico e politico indica esecutivi creati alle porte dell’estate con lo scopo di superare situazioni di stallo come quella odierna, dando tempo ai partiti di trovare un accordo o, se indispensabile, di tornare alle urne

Di esempi ne abbiamo molti, come ad esempio il governo Leone che durò dal 22 giugno al 5 dicembre del 1963. Successe infatti che dopo il voto l’allora inquilino del Quirinale, Mario Segni, diede l’incarico ad Aldo Moro, segretario della Dc che aveva la maggioranza relativa in Parlamento. Moro riuscì a far convergere sulla sua proposta di governo i voti del Psdi e del Pri ma non intercettò quelli del Psi, quindi non raggiunse una maggioranza stabile. Segni affidò allora l’incarico a Leone per un governo targato Democrazia Cristiana, ma di minoranza, e che in parlamento raccolse più o meno i consensi che raccoglierà il governo neutrale proposto da Mattarella. Con l’astensione dei socialisti dalle votazioni, il governo riuscì a lavorare senza essere sfiduciato finché non emerse una maggioranza politica stabile, che portò Leone alle dimissioni e Moro a Palazzo Chigi

Secondo Mattarella, questa riedizione in salsa “neutrale e di servizio” del governo balneare, sarà necessaria a indagare ancora sull’esistenza nei rami del parlamento di una maggioranza stabile. Negli obiettivi futuri del Capo dello Stato c’è infatti quello di un governo «con pienezza di funzioni che possa amministrare il Paese senza i limiti operativi di un esecutivo dimissionario, e che metta in condizione il Parlamento di svolgere a pieno la sua attività». 

Starà ai partiti, poi, prendere una decisione sulla prosecuzione della legislatura. Se decideranno di non votare la fiducia a questo governo proposto da Mattarella, l’ipotesi è ovviamente quella del ritorno alle urne, auspicabilmente in autunno. Per votare a luglio, infatti, non ci sarebbero i tempi tecnici necessari allo scioglimento delle camere e a tutte le procedure preliminari al voto. Una data probabile, seppur ardua da confermare, sarebbe al massimo quella del 22 luglio. La situazione politica però è in realtà molto più complessa. 

La questione è ancora avvolta nei veti incrociati di Forza Italia e Movimento 5 stelle. In casa centrodestra, infatti, mentre le posizioni di Salvini e Meloni sono già ferme su una totale contrarietà a un governo neutrale, quelle degli azzurri di Berlusconi non sono ancora chiare. Tuttavia, se il Cavaliere decidesse di abbandonare la coalizione e appoggiare questo esecutivo provocherebbe una profonda spaccatura nel centrodestra che difficilmente si rimarginerebbe prima delle nuove elezioni. Inoltre questo abbandono potrebbe dare a Fdi e Lega l’occasione di far nascere un esecutivo stabile con il M5s, mandando a casa il governo neutrale del Presidente. 

In effetti, neanche la proposta del Capo dello Stato trova conforto nei numeri parlamentari. Se al Pd, che si è già dichiarato pronto ad ascoltare Mattarella, si aggiungessero Forza Italia, il Gruppo per le Autonomie e il gruppo misto si arriverebbe a 133 senatori, a fronte dei 160 richiesti per la maggioranza assoluta. Situazione analoga alla Camera dove Fi, Pd, Leu e gruppo misto raccoglierebbero solo 251 deputati, fermandosi a 65 parlamentari dalla maggioranza assoluta. 

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