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Pd-M5s: i gemelli diversi della politica. I programmi a confronto

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Dopo la conclusione del secondo giro di consultazioni presso Montecitorio, che ha visto il Presidente della Camera Roberto Fico incontrare le delegazioni di M5s e Pd, i segnali di apertura da entrambi i partiti erano piuttosto chiari. Fico ha subito richiesto un colloquio al Presidente della Repubblica. Il Quirinale ha accettato e Mattarella ha ricevuto Fico alle 16:30. Al termine dell’incontro, è stato proprio Fico ad annunciare davanti ai giornalisti che il suo mandato esplorativo aveva avuto esiti positivi, riscontrabili nell’avvio del dialogo fra M5s e Pd. Il capo politico dei pentastellati, Luigi Di Maio, ha poi convocato una riunione dei suoi parlamentari in cui ha spiegato le prossime mosse. Si è detto molto fiducioso riguardo all’apertura dei dem, certo che le trattative condurranno a un contratto di governo in favore del suo partito. Al Nazareno, tuttavia, le spaccature sono evidenti e solo la Direzione nazionale in programma per il 3 maggio scioglierà i dubbi circa le intenzioni del Pd di creare una compagine governativa con i 5 stelle. 

Nonostante il clima di fiducia espresso nelle ultime ore, le visioni e i punti di vista delle due formazioni politiche sono difficilmente conciliabili e divergono su molti aspetti. Il quotidiano la Repubblica ha messo a confronto per i suoi lettori i programmi dei due partiti, evidenziando da una parte le divergenze e dall'altra anche la capacità parlamentare che avrebbe un asse concertato fra le due forze in questione. Alla Camera infatti la compagine governativa ipotizzata potrebbe contare su 333 deputati, ben 17 in più della maggioranza richiesta. Più complicata la situazione nella Camera alta, dove l’alleanza riunirebbe appena 161 senatori, attestandosi esattamente al limite della quota del 50%+1

La prima è più vistosa divergenza riguarda quello che è un cavallo di battaglia tanto dei governi a guida Pd degli ultimi anni quanto dell’attività pentastellata dal 2013 ad oggi: le misure per contrastare la povertà e aiutare i disoccupati. Gli esecutivi dem, infatti, avevano messo in campo il reddito di inclusione, che adesso il Pd avrebbe intenzione di estendere, affiancandolo a un assegno universale per le famiglie con figli. Il tutto per un importo medio erogato di 296 euro al mese. In casa 5 stelle, invece, la misura prediletta è quella del reddito di cittadinanza, finalizzato ai soli soggetti senza lavoro. Le cifre si aggirano dai 780 euro per un singolo a 1638 euro per una coppia con sue figli minori. Mentre il Movimento aveva stimato una spesa di 15 miliardi di euro, l’Inps ne ha calcolata una necessaria di almeno 38 miliardi

Altro campo da gioco su cui le due forze si sono scontrate e non poco è quello delle pensioni. Il Pd porta in eredità dal suo sostegno al governo Monti la tanto vituperata legge Fornero, indispensabile, secondo i dem, per la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico. In campagna elettorale dal Nazareno avevano proposto l’inserimento di una garanzia per i giovani, che assicurasse una pensione di almeno 750 euro anche con soli 20 anni di contributi. Misure accompagnate inoltre dall’estensione dell’Ape sociale e dell’Ape volontaria. Dall’altra parte del guado, però, il M5s ha sempre guerreggiato contro la legge Fornero, proponendo di superarla entro 5 anni. Secondo i pentastellati questo sarebbe possibile grazie all’estensione della cosiddetta quota 100 (ovvero la possibilità di andare in pensione quando la somma fra anni di contributi e età anagrafica corrisponde a 100) e della “quota 41” per chi invece ha iniziato a lavorare già in giovane età. Fondamentale per il movimento anche l’innalzamento della pensione minima a 780 euro.

Per quanto riguarda invece lavoro e scuola, il Pd ha sempre mostrato la sua intenzione di confermare le riforme varate dai governi da loro guidati, Jobs Act e Buona Scuola, apportandovi dei miglioramenti come un maggior vantaggio nella creazione di posti di lavoro a tempo indeterminato (con l’abbattimento del costo del lavoro), il salario minimo per tutti e l’estensione a 100mila studenti di istituti tecnici l’alternanza scuola lavoro. Totalmente opposta la visione a 5 stelle, che vorrebbe abolire sia il Jobs Act, ripristinando inoltre l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che la Buona Scuola, a partire dal meccanismo della “chiamata diretta” degli insegnanti.

Sul confitto di interessi, poi, il Pd continua a difendere una legge elettorale da loro proposta nella scorsa legislatura, poi arenatasi al Senato. Il disegno di legge prevedeva un blind trust per i componenti del governo, ma è stato criticato dal movimento per eccessiva morbidezza. La risposta dei dem ha puntato il dito contro un nuovo conflitto di interessi, quello che interesserebbe Davide Casaleggio e i suoi rapporti con il M5S. Sul tema si è pronunciato anche Luigi Di Maio ieri dopo il colloquio con Fico. Il capo politico dei 5s ha infatti detto «Noi crediamo che chi possiede mezzi di informazione non possa entrare in politica». Un chiaro riferimento a Silvio Berlusconi.

Sui partiti invece il segretario reggente del Pd Maurizio Martina aveva rilanciato la legge già proposto nella scorsa legislatura e poi stoppata al Senato. Il testo iniziale, a firma di Guerini, era stato però ammorbidito. Si prevedevano regole più stringenti per la gestione, specie sul lato economico. Regole che sarebbero entrate in conflitto con il metodo di governance del movimento. Anche qui i 5s hanno una visione diametralmente contraria, dal momento che hanno sempre osteggiato la riforma del sistema dei partiti, giustificando questo atteggiamento ostico con la necessità che le forze politiche siano autonome e prive di ingerenze. 

Ultimo tema caldo sarebbe poi quello dell’immigrazione, per la quale i dem propongono un controllo delle frontiere teso a combattere i trafficanti e salvare le vite di chi scappa da guerre e persecuzioni. Il tutto alla luce di una revisione del regolamento di Dublino finalizzata a una più equa distribuzione dei richiedenti asilo nei paesi membri della Ue. Cavallo di battaglia del Pd è stata anche la legge sullo ius soli temperato, progetto fallito nella scorsa legislatura. Il M5s ha su questa materia cambiato più volte posizione, partendo da una visione protezionistica che chiedeva il rimpatrio immediato di tutti gli immigrati irregolari, approdando poi a una posizione molto più morbida che intende lottare contro il solo business dell’immigrazione, aprendo a 10mila assunzioni nelle commissioni territoriali per valutare chi ha diritto di rimanere in Italia e chi no.

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