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Nucleare italiano pronto da un pezzo

La partita del nucleare è iniziata. Mentre il mondo politico perde tempo con le solite discussioni nucleare sì nucleare no, il mondo industriale non sta a guardare. Le diplomazie del Ministero dello Sviluppo Economico e delle più grandi Utility elettriche internazionali sono al lavoro già da tempo. Il nocciolo, trattandosi di nucleare mai termine fu più appropriato, della questione è tecnologico. Sembrano rimaste ormai solo due squadre in campo: da un lato l’EPR francese, tanto caro a Sarkò, dall’altro l’AP1000 americano. Il primo andrebbe comprato quasi chiavi in mano, il secondo lo stato italiano potrebbe dire di avercelo già in casa, attraverso la piccola società di Finmeccanica, la genovese Ansaldo Nucleare, creata proprio da Scajola durante il precedente Governo Berlusconi, nel 2005. Ma se le squadre in campo hanno le magliette ben visibili, non si può dire lo stesso delle relative tifoserie.
Si dice che le macerie dell’industria nucleare italiana possano costruire solo il 75% di una centrale. Il resto comunque bisognerebbe cercarselo fuori. I pochi ingegneri nucleari italiani sopravvissuti sono pratici solo della tecnologia americana della Westinghouse, a cui hanno lavorato, da ca nel corso degli ultimi 20 anni. Nella recente audizione al Senato, l’amministratore delegato dell’Enel, Fulvio Conti, ha scoperto le carte e offerto come alternativa alle 8 unità Epr Areva da 1.600 MW 12 unità Ap1000 Westinghouse da 1.100 MW. Dopo l’italianità delle banche e delle compagnie aree, chissà che non venga portata avanti l’italianità del nucleare.

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