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Metti, un margarita a cena

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Scritto da vocealta

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Si fidò di lei, ordinò quel Margarita frozen. Non sapeva che non sarebbe più riuscito a farne a meno.

Parlarono lungamente. Lui adorava raccontare e fare sfoggio delle sue conoscenze, lei stranamente stavolta preferiva ascoltare. Quella voce aveva un suono piacevole che la affascinava e quella cadenza ‘straniera’ la portava in mondi lontani che non conosceva ma che la incuriosivano. E mentre si lasciava incantare dalle parole di Renato, non poteva tenere lontano dalla sua testa quelle che Beatriz le aveva ripetuto tutto il pomeriggio. Ma continuava a ripetersi, quasi fosse un mantra, che la sua amica argentina era la solita passionale e che invece non ci sarebbe stato niente: solo una piacevole cena messicana con quel collega, come lui preferiva definirsi. In fondo per quale ragione avrebbe dovuto baciarlo: ai suoi occhi appariva esuberante, immaturo, politicamente schierato e quindi infilato in quei giri che lei odiava, e poi era settentrionale, biondo e riccio. Laura invece aveva una vita perfetta come l’aveva immaginata da quando, otto anni prima, si era trasferita nella Capitale. Non le mancava nulla, o quasi. C’era ancora un sogno che non era riuscita a realizzare: trasferirsi all’estero per un periodo. E lo avrebbe fatto volentieri con Angelo che pure era affascinato dall’idea e con cui ormai ne discuteva spesso. Nell’attesa di vedere concretizzarsi questo desiderio, aveva deciso di attrezzarsi perché non le mancasse nulla. A cominciare dalla quotidianità.

Da circa un anno convivevano in 70 mq: un bilocale delizioso e rifinitissimo. La zona, certo, non era tra le preferite di Laura ma il fatto che il suo compagno – come tentava di appellarlo da quando era cominciata l’avventura della convivenza – la adorasse, era bastato per convincerla che si sarebbe abituata anche a quel quartiere un po’ popolare. D’altronde quello che a lei importava era vivere con lui, poter avere finalmente una ‘casa vera’ da godersi assieme, dando feste e organizzando cene. Pratica a cui si dedicava almeno una volta a settimana: erano già famosi i pranzi pugliesi di quattro portate che terminavano alle sei del pomeriggio con il liquore al caffè fatto con le sue manine. Si divertivano così, il week end, dopo una settimana di lavoro che pure andava a gonfie vele se si pensa che a venticinque anni aveva un contratto a tempo indeterminato ed una carica operativa di caporedattrice in quel mensile che adorava. Ancora meglio lui, assunto in una società quotata in borsa con tutte le carte in regola per continuare una carriera già iniziata che nel giro di cinque anni poteva vederlo dirigente. E poi una Panda, un Liberty 150 cc, tre tv, un lettore dvd, due pc, shopping con cadenza (almeno) settimanale, cene fuori, brunch e divertissment di ogni tipo.

Una bella vita, insomma. Non certo una vita da bacchettona, come Renato ogni tanto si divertiva a definirla. Proprio per questo Laura si convinceva sempre più del fatto che quel ragazzotto ligure non doveva essere poi così navigato come voleva far credere, visto che era stato uno dei pochissimi a non inquadrarla e a non annusare il suo passato da subito. Anche se l’idea di dare questa impressione iniziava a turbarla: «ma sarò cambiata davvero?»si chiedeva. «Ho capito tutto, sono certamente questi capelli corti. Ecco perché non li avevo mai tagliati così tanto» aveva realizzato. Che Renato avesse questa immagine di lei non le andava proprio giù, pensò quindi che una cena al ristorante messicano potesse essere un’ottima situazione per mostrarsi per quella che era veramente. Solo questo era lo scopo della cena: presentare la vera Laura a Renato. Si conoscevano ormai da due mesi e c’erano tutti i presupposti perché nascesse una bella amicizia; per questa ragione voleva essere se stessa, non solo la giovane caporedattrice sveglia e in gamba che lui aveva invitato a pranzo per coltivare il loro rapporto lavorativo.

Ne ordinò un’altra. Tra lui e la margarita fu colpo di fulmine. Lei non se lo lasciò ripetere due volte e lo seguì. Continuando a parlare, divorarono le quesadillas prima e una fajitas più una porzione di “nachos cucaracha” dopo. Suggellarono quella splendida serata con una tequila bum bum. Chiesero il conto rapidamente, lui doveva scappare. Aveva un appuntamento in seconda serata, “di lavoro” diceva lui tanto per non smentirsi. Per Laura, in fondo, era meglio così: la aspettavano i bagagli da preparare per Parigi. Sarebbe partita il giorno dopo direttamente dall’ufficio. Angelo la aspettava nella Capitale dell’Amore dove si trovava per lavoro ma si era ritagliato una quarantottore da dedicare alla sua amata. Un week end che Angelo aveva organizzato con tanta cura. Anche per convincerla che non poteva credere per tutta la vita che Parigi portasse sfiga solo perchè la sua storia precedente aveva cominciato a sgretolarsi proprio lì. Non sarebbe mai riuscita a perdonarselo Laura, se avesse rovinato quel fine settimana romantico facendosi scappare la situazione dalla mani. Non poteva permettersi di perdere il controllo. Quindi che lui avesse un altro impegno, dopo due margarita e mezzo e una tequila bum bum, le sembrava perfetto, un segno del destino.

Dopo aver messo in scena un siparietto niente male, la cena riuscì ad offrirla Renato che chiese a Laura di accompagnarlo in centro. Erano infatti usciti con la Panda di Angelo, che però utilizzava sempre lei. Si avviarono alla macchina senza riuscire a negare l’uno all’altra di aver trascorso davvero una piacevole serata. Nonostante la stanchezza e le mille cose da fare che l’aspettavano, Laura non riusciva a capire da dove provenisse quella strana sensazione che avvertiva da quando lui aveva detto di dover proprio scappare. Eppure andava tutto per il verso giusto: serata piacevole, un amico in più e, soprattutto, un altro disastro evitato. Quei quattro passi per ritornare alla macchina le sembrarono infiniti. Si sentiva sempre più strana, sentiva il suo corpo caricarsi di una forza magnetica che – di lì a poco – avrebbe potuto inchiodarla a lui. No! Non doveva, non poteva. Era suggestione generata dalla favola di Beatriz, niente di più. L’alcol che aveva ingerito stava facendo il resto. Doveva solamente girare quell’angolo, entrare in quella macchina e portare quel rampollo lontano da lei. Semplice. Semplice e spontaneo come solo un bacio a volte sa essere.

Non solo lo stava facendo ma iniziava a pensare che quella coetanea argentina ci avesse visto giusto, su tutto. A volte meglio una scopata inaspettata con uno sconosciuto che ti attrae sul momento, piuttosto che un bacio atteso da mesi con una persona che fingi non ti piaccia.

Continuava a farlo dolcemente, non riusciva a smettere e pensava che l’avrebbe rifatto ancora. Cercò, con tutta la forza di volontà che poteva, di staccarsi da lui e di entrare in macchina. Ci riuscì. Ma entrata in auto quel bacio le sembrò ancora più bello. Mise in moto.

A distanza di mesi ancora non si spiega quale follia l’abbia portata quella sera a chiedergli di raggiungerla, terminato l’appuntamento, a Via Genzano 44. Una cosa è certa: quando Renato la raggiunse a casa e oltrepassò quella porta, Laura capì che quella storia si sarebbe complicata e non poco. Aveva lasciato che un altro uomo varcasse quella porta in piena notte.

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