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L’ultimo delirio della Guzzanti

L’atto d’accusa arriva al secondo minuto: il terremoto dell’Aquila, dice la voce narrante di Sabina Guzzanti, «per Berlusconi è come se Dio gli avesse teso la mano», perché era in calo di consensi fra la «persecuzione dei magistrati» e le foto delle feste a Villa Certosa. Al minuto 93 il dado è tratto: la ricostruzione della città «è stata sacrificata per tenere alti i consensi di un uomo che deve garantire guadagni illeciti a chi lo sostiene».
Già così, «Draquila, l’Italia che trema» è roba che a confronto la tesi complottista di Michael Moore sull’11 settembre è dilettantismo. Ma è peggio di così. Perché il film che da venerdì sarà nelle sale cinematografiche lancia un altro messaggio, esplicito: il terremoto del 6 aprile 2009 si poteva prevedere, 308 vite si potevano salvare, 1600 feriti e 65mila sfollati si potevano evitare. E invece no. Invece la Protezione civile fece spallucce, signore e signori, di fronte a quel periodo sismico che precedette la scossa fatale e che avrebbe dovuto creare allarme, visto che si era verificato prima di altri due terremoti, nel 1461 e nel 1703. «Non c’è pericolo», dissero invece. Di più: il 31 marzo la commissione grandi rischi si riunì non per valutare l’opportunità di avviare una «fase precauzionale», ma solo per «mettere a tacere le preoccupazioni dei cittadini». Del resto, ed ecco il collegamento, uno dei tanti: «A quella riunione partecipò anche l’ingegner Calvi, che poi progetterà la new town».
È più che un allarme regime, questo. È molto più persino dell’imprenditore Francesco Maria Piscicelli, lo sciacallo che al telefono disse: «Non c’è un terremoto al giorno, io alle tre e mezzo di stanotte ridevo nel letto». Perché nel film quell’agghiacciante intercettazione viene riproposta in un cocktail di associazioni (meglio se a delinquere) di idee, da Massimo Ciancimino che, inascoltato nei processi, può dire al microfono di Sabina Guzzanti che il padre Vito finanziò coi soldi della mafia la berlusconiana Milano 2, ad Antonio Ingroia, il magistrato amico dei giustizialisti alla Travaglio, che segnala che «la mafia ha sempre trovato un referente politico», passando per l’altro atto d’accusa del film: la gente dell’Aquila non è stata soccorsa, ma deportata. Negli alberghi sulla costa, dove si vive «sfiancati dalla noia e dalla solitudine». Nelle tendopoli: lì si viveva da «prigionieri», c’era il «capocampo», chiaro termine fascista, e c’era pure una circolare che vietava la distribuzione di caffè e Coca cola per non eccitare le persone. E nelle casette con lo spumante e il bigliettino di auguri del premier, ma lo sapete che vanno restituite integre, con tutte le pentole e i mobili?
Hanno un bell’affannarsi loro, gli sfollati, a dire che «Berlusconi ha fatto un miracolo». È lavaggio del cervello, «i feriti sono più facili da gestire». «Non glielo avrà inculcato la tv che i container non le piacciono?» chiede la Guzzanti a una smarrita signora. E poi chi protesta c’è sempre, vogliamo parlare del signore che accusa i carabinieri di essersi messi a selezionare gli aquilani all’arrivo di Berlusconi, «dentro chi applaude, fuori chi fischia»? La verità è che la gente voleva tornare a casa, nel centro dell’Aquila, e invece è arrivato pure l’esercito per impedirglielo. Il Guido Bertolaso che s’è sgolato a spiegare che no, nessuno può rimettersi a posto la casa da solo per il semplice fatto che intorno tutto ti può crollare addosso, e che ci vorranno 12 anni per rifare il centro dell’Aquila, nel film non c’è. Del resto, vista l’inchiesta sugli appalti gonfiati del G8 all’Aquila, il capo della Protezione civile ha meno credibilità di Ciancimino. E infatti ecco «il tentativo di trasformare la Protezione civile in società per azioni», ecco la «gigantesca operazione di propaganda» sui rifiuti a Napoli, ecco i mille esempi di come il governo con la scusa della gestione delle emergenze stia scavalcando le leggi sulla qualunque in Italia, dai mondiali di nuoto alle visite pastorali del Papa. Tutto in Italia viene gestito per garantire consensi a Berlusconi, dice Sabina, che avverte: «Al prossimo calo di consensi, chissà a quale prezzo cercherà di farli risalire». Forse basterà questo film. (da il Giornale del 4 maggio).

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