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L’Intesa tra Stati Uniti e Cina allontana la possibilità di nuove sanzioni all’Iran

Il summit di Washington ha creato molte aspettative per la risoluzione della questione nucleare con riferimento all’Iran.
Nell’ambito della conferenza, l’incontro bilaterale tra il Presidente Barack Obama e il Primo Ministro della Repubblica Popolare Cinese, Hu Jintao, potrebbe divenire un nuovo spartiacque nell’approccio della comunità internazionale sul dossier iraniano. Infatti, la Cina, sempre riluttante ad imporre nuove sanzione contro Teheran, ha lasciato aperto un piccolo spiraglio nel quale il presidente Obama non ha esitato ad innestarsi. L’enfasi che ha però circondato questa “dichiarazione di intenti” non trova ancora un riscontro certo nella realtà. Tra Stati Uniti e Cina non esiste alcun accordo per imporre nuove sanzioni all’Iran. In questo momento sul piatto c’è solo il “gentlemen’s agreement” per ridiscutere la questione e nulla più. La Repubblica Popolare Cinese è legata a doppio filo a Teheran. Non soltanto per i rifornimenti petroliferi che arrivano dalla capitale persiana, ma anche per una serie di questioni strategiche. E’ evidente infatti che l’unico modo per mantenere i livelli attuali di crescita (e magari incrementarli) è avere una maggiore influenza sui pozzi petroliferi del Medio Oriente (dove la presenza cinese è limitata all’Iran) è avere accesso privilegiato alle risorse naturali. Anche da un punto di vista commerciale Pechino e Tehran sono legate da una relazione salda, consolidatasi nel tempo. Gli investimenti di Pechino in Iran permettono alla Cina di aumentare le sue possibilità di introdursi nel “grande gioco” della distribuzione delle risorse Medio Orientali. Per far questo, però, la Cina avrebbe bisogno di una penetrazione maggiore nel Medio Oriente e la Repubblica Islamica dell’Iran è una chiave d’accesso al Golfo Persico cui Pechino non potrebbe mai rinunciare, considerando anche il ruolo dell’altro gigante asiatico, cioè l’India. La presenza cinese nell’area potrebbe rappresentare un problema per l’influenza degli Stati Uniti sull’area del golfo. La presenza degli americani rimane ancora molto forte, ma gli stati arabi non guardano più con ammirazione a Washignton e potrebbero rivolgere i propri sguardi verso l’unico elemento in grado di catalizzare la loro attenzione: l’Iran. Il fatto che Obama abbia offerto alla Cina rifornimenti petroliferi dal Golfo è sicuramente indice di un “leverage” non ancora in declino da parte della Casa Bianca sui paesi arabi del Golfo. Tuttavia, la velocità con la quale la Cina potrebbe penetrare (a livello economico finanziario) nel Golfo Persico induce gli Stati Uniti ad agire nell’unico senso possibile per evitare tale condizione, ovvero rompere i saldi legami che legano Pechino a Teheran. In questo senso, offrire il petrolio del golfo alla Cina è una mossa che potrebbe avere degli effetti positivi anche se potrebbero non essere sufficienti. Imporre delle nuove sanzioni all’Iran costringerebbe anche la Cina ad accettare un calo delle proprie esportazioni verso Teheran. Considerando che la crescita cinese è fortemente basata sule esportazioni, questo potrebbe penalizzare Pechino, piuttosto che la Repubblica degli ayatollah. In ragione di ciò le valutazioni cinesi sono state molto caute. Il premier Hu Jintao ha auspicato che la soluzione possa risolversi diplomaticamente con uno sforzo condiviso non accennando minimamente ad eventuali sanzioni. Il che è indice di quanto complessa possa essere la posizione cinese nei confronti del dossier nucleare. Posizione che si scontra inevitabilmente con quella degli Stati Uniti, i quali considerano l’Iran una minaccia per il Medio Oriente e per il mondo intero. In definitiva, il bilaterale di due giorni fa non ha chiarito quali siano gli argomenti di convergenza tra Usa e Cina, fissando soltanto un’intesa per ridiscutere il problema. E la cosa non fa ben sperare riguardo la possibilità che vengano imposte nuove sanzioni nel breve periodo (il Predellino).

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