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Libro Fini, la lettera di Bondi al Foglio

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Al direttore – Ho letto anch’io l’ultimo pamphlet di Gianfranco Fini, e condivido in parte l’analisi del Foglio. Anche questo bel libro del presidente della Camera rappresenta un ulteriore contributo all’apertura di uno spazio di confronto democratico all’interno del Pdl. Naturalmente quando si crea una dialettica politica ognuno ha il dovere di far valere le sue idee e di sostenere il proprio punto di vista, in uno spirito di solidarietà di partito e di amicizia personale.
Per prima cosa, la lettura del nuovo libro di Fini lui ha confermato in una convinzione che nutro da tempo, e cioè che la parabola politica e culturale di Gianfranco Pini presenta una certa analogia con quella, altrettanto nobile sul piano della storia culturale, della tradizione comunista italiana. Che cosa c’entra si dirà la storia del Msi e poi di An con quella del Partito comunista? A prima vista niente. Tuttavia entrambe le esperienze a dispetto delle radicali diversità l’esclusione dall’arco costituzionale del primo, e la partecipazione fondante alla Carta repubblicana del secondo mi pare abbi no affrontato la fine delle ideologie e la scomparsa di schemi dottrinali forti per l’azione politica con la stessa ansia di approdare a un’accettazione della realtà così com’è.
Entrambi i partiti ideologici della Prima Repubblica, insomma, mi pare siano incorsi alla fine della loro parabola in una sorta di conformismo un po’ schiavo della realtà (sia sul piano politico-economico che su quello bioetico), senza la capacità di elaborare una autèntica riflessione sul proprio passato, che permettesse di superare quella storia senza tuttavia giungere ad abbracciare acriticamente gli esiti della modernità tout court. In ogni caso, ci che mi ha colpito dello sforzo culturale compiuto da Fini è la mancanza di una spiegazione dell’incontro e dell’intreccio della sua storia con quella di Silvio Berlusconi.
Se si considera il fatto che nel libro non compare mai il riferimento all’attuale presidente del Consiglio, potrebbe sembrare che la storia e l’evoluzione di Fini sia semplicemente giustapposta a quella di Berlusconi oppure si ponga, come molti episodi farebbero temere, in alternativa a essa. Non è curioso imbattersi in questa rimozione, che s’aggiunge a quella sul fascismo e su altre figure fondamentali nella storia del Novecento italiano? E’ come se il presidente della Camera si astenesse da una riflessione sulle vicende della vita politica italiana di questi ultimi sedici anni che hanno reso possibile di fatto la sua attuale evoluzione politica. Questo vuoto nella riflessione di Fini lascia un varco aperto a interpretazioni come quella affacciata da Carlo Galli, secondo il quale il cofondatore del Pdl sarebbe l’espressione di una destra moderna, legalista, egalitaria, consensuale e democratica, in alternativa alla destra caudillistica, populista e autoritaria incarnata da Berlusconi.
In qualche modo il libro avalla questa lettura, almeno per quanto riguarda il versante. di una destra che non si riconosce nelle posizioni che il Pdl, nella sua stragrande maggioranza, rispecchia. La mia preoccupazione è che questa scissione ove esistesse veramente metterebbe in discussione l’approdo del Pdl, da sempre considerato un soggetto politico unito sul piano dei valori fondamentali e delle prospettive politiche generali. Come ho osservato in un precedente intervento, si tratta di decidere se vogliamo costruire un partito simile alla Democrazia cristiana, di fatto una federazione di partiti con una classe politica eterogenea ma capace per ciò stesso di intercettare i voti di segmenti diversi dell’elettorato, o se vogliamo invece dare vita ad un partito che, pur nella cornice di un confronto democratico, giunga a definire una cultura politica condivisa.

Suo Sandro Boudi (ministro della Cultura e coordinatore del Pdl)

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