Uno dei risultati raggiunti negli otto mesi del 2013 in cui ha governato viene da un dato oggettivo: «L’Italia di un colpo ha recuperato 30 anni del calendario. Il nostro paese ha compiuto una svolta generazionale senza precedenti nella storia repubblicana. Credo che l’unico precedente sia nell’immediato Dopoguerra.
Da quel momento in poi l’Italia è stata un paese che si è affidato alle generazioni dei 60enni e dei 70enni. La pagina oggi è completamente voltata. Oggi questa generazione è messa alla prova e questa generazione non può fallire». Ha voluto aprire con un incoraggiamento alla sua generazione la conferenza stampa di fine anno il presidente del Consiglio Enrico Letta. Presso l’aula dei gruppi della Camera, nel tradizionale appuntamento organizzato dall’Ordine dei giornalisti, il premier dichiara: per la generazione dei 30-40enni il 2014 sarà l’occasione per far sì che «questa svolta generazionale riesca: il paese ne aveva bisogno. Sono certo che questa opportunità la coglieremo, non abbiamo più alibi».
Dopo aver ricordato il brigadiere Giangrande, ferito in una sparatoria davanti a Palazzo Chigi nel giorno del giuramento del governo delle larghe intese, il premier ha affrontato le questioni legate alla crisi economica, alla disoccupazione e alle tasse, ma anche alle riforme e ai nuovi equilibri creati dalla vittoria di Matteo Renzi alle primarie del Partito democratico. «Sono convinto che l’Italia ce la farà, perché abbiamo dietro di noi la parte più difficile». Come un paziente che ha lasciato la sala operatoria, ha affermato Letta, il Paese è ora impegnato nella fisioterapia. «Confermo quello che avevamo deciso a novembre e cioè di destinare i fondi recuperati dalla spending review all’abbattimento del costo del lavoro», dice a proposito della questione occupazione. «Se nel resto del mondo ci percepiscono stabili e degni di fiducia, compreranno il nostro debito pubblico consentendoci di fare alcune scelte importanti per alleggerire la pressione fiscale». Tra le misure che il premier annuncia come imminenti la revisione della Bossi-Fini, un cambio radicale sulle misure relative al gioco d’azzardo, inclusa la correzione dell’errore (definito “porcata” da Renzi) contenuto nel dl salva-Roma, e una norma sul conflitto d’interessi sugli incroci tra stampa e tv da inserire nel Milleproroghe che sarà varato dal Consiglio dei ministri di venerdì. Poi il nodo delle riforme, dalla legge elettorale «da approvare prima delle elezioni europee» alla cancellazione della parola Province dalla Costituzione. Su questi temi è bene che ci sia l’impegno di tutte le forze parlamentari, ricorda Letta, affermando che «fa bene Renzi a parlarne anche con Forza Italia» e rivolgendo un appello direttamente a Silvio Berlusconi, la cui storia personale ha influenzato la vicenda politica del 2013 ma non può concludersi con una deriva nichilista-populista, dice il premier: «Sarebbe un errore per Forza Italia, per il paese e per Berlusconi».
Nella conferenza stampa di fine anno 2014, Letta si dice convinto che «commenteremo dati economici migliori e riforme istituzionali che saranno un fatto compiuto». Non manca un messaggio al leader del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo: nei confronti di Giorgio Napolitano sono state usate «parole totalmente fuori luogo. Credo si sia passato il limite: davanti a questi attacchi credo ci sia bisogno da parte di tutti di essere fermi. C’è bisogno di reagire con fermezza”. «Il presidente della Repubblica – ha proseguito Letta – non soltanto non ha travalicato i suoi compiti, i poteri che la Costituzione gli assegna, il presidente della Repubblica con la sua credibilità ha salvato l’Italia, un paese che stava sbandando e stava finendo fuori strada”. Con Renzi, invece, Letta garantisce piena sintonia. «Nessun sospetto» che il neosegretario del Pd voglia andare al voto subito, nessun dualismo tra leadership e premiership: “Noi – afferma Letta – saremo, non soltanto dal punto di vista dei conti pubblici e dell’economia, la dimostrazione vivente che una nuova generazione è in grado di vivere in modo diverso la capacità di fare gioco di squadra». Il messaggio finale è il seguente: «Non sono e non sarò mai un primo ministro tecnico. In questi mesi ho dimostrato cosa è necessario per avere una vera svolta politica e lo dimostrerò se è necessario anche in futuro», ha aggiunto il premier rivendicando il peso politico delle sue scelte.