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La democrazia (e la Carta) prima di tutto

Tralasciamo tutto ciò che accadrà dopo la sentenza Tar. Non abbandoniamoci a previsioni azzardate sul verdetto del Consiglio di Stato e non pensiamo a ricorsi, diffide e manifestazioni di piazza. Poniamo in secondo piano anche i leciti commenti sulla giustizia morale e le diatribe immaginarie tra filosofi come Kelsen e Shmidt. Facciamo in modo che il nostro bagaglio culturale possa lasciare il posto ai testi giuridici e in particolare alla Carta Costituzionale, quel prezioso documento che decreta l’inappellabilità e costituisce il diritto del nostro Paese.
Il Tar ha infatti affermato che in materia di elezioni la potestà legislativa spetta alla regione (in questo caso il Lazio) con la legge numero 2 del 2005.  Per tale motivo non ci si può appellare al decreto salva-liste emanato lo scorso 6 marzo dal governo e tantomeno, fa intendere il Tar, si può seguire l’interpretazione di governo non dovuta giuridicamente. Ma cosa dice in realtà la nostra Carta costituzionale? E soprattutto: cosa riporta la legge regionale numero 2 del 2005 di cui parla il Tar?
L’articolo 122 della Costituzione afferma: “Il sistema di elezione […] sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.”. Una delle leggi della Repubblica di cui parla l’articolo costituzionale è proprio la legge 17 febbraio 1968, numero 108, quella interpretata nel decreto salva-liste. C’è di più: la legge regionale, all’articolo 1 comma 2,  riporta che: “Per quanto non espressamente previsto, sono recepite la legge 17 febbraio 1968, numero 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale) […]”. A prima vista sembra chiaro che la legge ordinaria stabilisce i principi fondamentali (come previsto nella 168 del decreto dell’esecutivo) e la legge regionale si regola in base a quei principi per la sua formazione.
Anche se si dovesse trovare il cavillo giuridico, come dimostrato dal Tar, resta il fatto che il diritto di voto è uno dei diritti inviolabili della Costituzione, che tutela il cittadino in quanto uomo libero d’esprimere la propria opinione elettorale. C’è da dire, come molti potrebbero obiettare, che la libertà di voto vale a prescindere dalla lista Pdl (infatti nessuno ci sbarrerà la porta del seggio il 28 e 29 marzo), ma è pur vero che in mancanza di un forte rappresentante politico, che gode di fiducia ventennale, si rischia d’inibire la libertà al voto con la conseguenza di un forte astensionismo. Un evento del genere scuoterebbe quella democrazia tanto difesa dalla nostra Carta e farebbe della magistratura tout court l’attentatore non violento del suffragio universale.

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