Pubblichiamo l’intervento dell’ex ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, apparso sul quotidiano Avvenire il 3 marzo scorso
Egregio direttore,
in un inverno caratterizzato da scarse piogge ci eravamo illusi che non vi sarebbero più stati eventi e conseguenze drammatiche, i “morti per maltempo” con la triste contabilità di vite umane perdute e di ingenti danni alle nostre comunità e al nostro territorio.
La verità è che l’intensità e la frequenza degli eventi climatici estremi, e la ormai affidabile prevedibilità degli effetti, richiedono l’adozione di politiche e misure per adattare il territorio italiano alla nuova situazione climatica, superando la gestione delle emergenze che assorbe risorse ingenti senza risolvere in modo stabile i nodi critici della vulnerabilità del territorio.
In questa prospettiva avevo avviato nel dicembre 2011 un’indagine accurata sulla vulnerabilità del nostro territorio.
A conclusione dell’indagine, il 19 novembre del 2012 avevo presentato alla Commissione Europea le linee generali del piano nazionale per la messa in sicurezza e la prevenzione del dissesto idrogeologico, mettendo in evidenza che «per gli interventi di prevenzione e messa in sicurezza del territorio nazionale, oltreché di ripristino, sarebbero necessari investimenti per almeno 40 miliardi di euro».
Infatti, come spiegavo, assumendo una scala di priorità basata sulle misure infrastrutturali e gestionali più urgenti, tenendo conto della tipologia degli interventi, e considerando i tempi di realizzazione delle infrastrutture necessarie per la messa in sicurezza stimati in circa 15 anni, gli investimenti dovrebbero essere ripartiti tra:
1. interventi pubblici per gli interventi che riguardano infrastrutture, reti o altre attività di competenza pubblica ( 60% pari a 1596 milioni/anno).
2. investimenti privati (30% pari a 798 milioni/anno), che potrebbero essere sostenuti con credito di imposta a detrazione parziale dei costi.
3. incentivi a favore di imprese, cooperative o associazioni che assumano la gestione e manutenzione delle aree agricole e boschive abbandonate (10% pari a 266 milioni/anno) .
La Strategia, con le misure per la prevenzione dei rischi e dei danni connessi agli eventi climatici estremi, rappresenta dunque una misura infrastrutturale per la crescita sostenibile dell’Italia, ad alto valore aggiunto e con effetti significativi per l’occupazione giovanile addizionale con effetti positivi a breve-medio termine sulle entrate e sulla riduzione del debito pubblico.
In questa prospettiva sottolineavo che la strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici deve assumere nel quadro delle misure infrastrutturali per la crescita richiamate dal “Patto per la crescita e l’occupazione”, e di conseguenza chiedevo di rappresentare presso la Commissione europea l’esigenza di assumere come criterio generale che le misure previste dalla strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici sia compresa tra quelle incluse nelle misure in deroga rispetto al patto di stabilità.
La risposta della Commissione era stata positiva in linea di principio, ma era stata messa in evidenza nello stesso tempo la necessità di un piano nazionale a medio lungo termine per la realizzazione di misure risolutive e permanenti.
Di conseguenza, il 12 dicembre 2012 avevo presentato al CIPE una proposta preliminare per l’adozione del piano nazionale per la sicurezza del territorio e la prevenzione del dissesto idrogeologico, con: la programmazione e gestione coordinata delle politiche e misure di prevenzione, con una regia nazionale partecipata dalle Regioni; il divieto di uso dei territori vulnerabili e la rilocazione delle strutture edilizie, produttive, stradali e ferroviarie ubicate in questi territori. Infine, la realizzazione delle attività e delle opere per la messa in sicurezza del territorio, con il supporto di finanziamenti misti pubblico-privati per: la manutenzione delle aree a rischio, a partire dalle zone boschive e dai corsi d’acqua delle aree marginali, con attività permanenti anche attraverso la promozione di cooperative di giovani; la ricalibratura di fiumi e canali, fognature e invasi per gestire l’impatto delle “bombe d’acqua”; la realizzazione delle “difese” da frane e alluvioni sulla base di priorità stabilite a livello nazionale a seguito di una valutazione delle “serie storiche” degli eventi e della previsione dei maggiori impatti (ad esempio aree urbane come Genova).
E ancora: il finanziamento stabile delle misure, con risorse pubbliche finanziate attraverso l’uso del 40% dei proventi derivanti dalle aste dei permessi di emissione di cui alla direttiva europea 2009/29/CE eventualmente integrato da un prelievo su ogni litro di carburante consumato, e investimenti privati incentivati con credito di imposta; l’introduzione di un’assicurazione obbligatoria per la copertura dei rischi connessi agli eventi climatici estremi a carico di beni e strutture di proprietà pubblica e privata.
La mia iniziativa, nonostante il parere favorevole del CIPE, non ha avuto seguito e sembra incredibile che, a fronte di frane e alluvioni nelle aree flagellate dagli stessi eventi negli ultimi cinque anni, nessuno si chieda se per caso non fosse stato meglio investire per la messa in sicurezza dei territori per la realizzazione di misure stabili invece che essere costretti a rincorrere le emergenze.