“Il caso Kellan” è il nuovo romanzo di Franco Vanni, penna di Repubblica, edito da Baldini+Castoldi. Si tratta di un giallo dalle tinte noir, ambientato in una Milano avvolta dal freddo e da una spessa coltre di neve. Il protagonista è Steno Molteni, giornalista di cronaca nera del quotidiano “La notte”, che una mattina si sveglia con una succulenta soffiata: l’amico poliziotto Raffaele Cinà, detto Scimmia, gli rivela l’uccisione di Kellan Armstrong, figlio diciannovenne del console americano, il cui cadavere viene ritrovato di fronte all’ospedale Fatebenefratelli.
Da quel momento partono due indagini in parallelo: quella del giovane Steno e quella del padre di Kellan, Liam Armstrong, uomo tutto d’un pezzo che assieme al cuoco vietnamita Han, agente sotto copertura della Cia, cerca di trovare la chiave di volta prima dell’intervento della polizia. La pista sembra condurre agli “Spazzini”, gruppo di omofobi che aggredisce coppie appartate nei luoghi d’incontro. E sembra anche che Kellan, di recente, avesse iniziato a frequentare alcuni giri gay. La sua ragazza, però, sembra escludere l’omosessualità del giovane. Poi ci sono i suoi familiari, che oltre al dolore della perdita provano l’agghiacciante sensazione di non aver mai conosciuto loro figlio veramente.
Il caso Kellan è un libro in cui nulla è ciò che sembra, dalla trama mai scontata, in cui l’intreccio si sposta costantemente da un piano all’altro, e in men che non si dica ci si ritrova alla fine di quelle trecento e rotte pagine a domandarsi: come ci sono arrivata? Perché ogni rumore, odore, luogo sembra materializzarsi in testa e davanti agli occhi, perché ogni personaggio è ben strutturato, a partire da Steno Molteni, vera colonna portante del libro: giovane, bello, guida una Maserati Ghibli e di sera lavora come barman nell’albergo in cui alloggia. E poi ci sono Sabine, Alberto, la pm Maria Cristina Tajani, il signor Barzini e gli amici di Kellan. La scrittura semplice e immediata di Vanni (influenzata dallo stile di uno scrittore-giornalista iper milanese con profonde contaminazioni della Liguria di Levante) accompagna il lettore all’interno del romanzo, portandolo a riconoscere e riconoscersi in ogni personaggio, come se lo avesse incontrato almeno una volta nella vita. Insomma, il giallo c’è, ma Vanni lo usa quasi come scusa, come pretesto per parlare di altro. Di qualcosa di vero.