A due giorni dalla fine della Green Week, che quest’anno vanta un pubblico da record, arriva la conferma dell’Istat: anche l’Italia investe su un’industria sostenibile.
Gli ultimi dati Istat, relativi al 2016, confermano l’aumento degli investimenti green, sostenuti soprattutto dalle piccole e medie imprese (+12,9%), ovvero quelle aziende che contano meno di 250 dipendenti.
Si tratta di un aumento minimo che, tuttavia, sommato agli investimenti END-OF-PIPE, ovvero orientati a controllare e abbattere l’inquinamento già generato, dimostra una crescente attenzione e sensibilizzazione del settore industriale nei confronti delle problematiche ambientali e di un’economia ecosostenibile.
Ne è prova anche l’inaspettato successo della Green Week, tenutasi a Trento la scorsa settimana, che ha visto un afflusso di oltre 15mila persone venute ad ascoltare i dibattiti dei 130 relatori presenti, italiani e stranieri (tra cui Antonio Calabrò, Peter Wadhams e Norbert Niederkofler). Presenza importanti anche quelle delle 30 “fabbriche della sostenibilità” e degli oltre 300 tra studenti e ricercatori, provenienti da tutta Italia. Punto focale dell’evento le tematiche ambientali e la possibilità di creare lavoro e profitto nel settore industriale puntando sull’etica e sulla salvaguardia dell’ambiente.
Proprio su quest’ultimo punto si concentra Ermete Realacci, presidente della fondazione Symbola, che presentando i risultati elaborati a partire dal rapporto GreenItaly 2018, mette in luce come 175mila imprese del Nord Italia abbiano investito, negli ultimi 5 anni, in prodotti e tecnologie atte a ridurre l’impatto ambientale, il risparmio energetico e la riduzione delle emissioni di anidrite carbonica, con il risultato di imprese sempre più competitive nel settore.
Un tema estremamente importante visto il recente “ultimatum” lanciato dall’Onu che dà ai vari Paesi della Terra 12 anni di tempo per invertire la rotta ed evitare un disastro ambientale senza precedenti. Se il riscaldamento globale superasse la soglia degli 1,5 gradi, infatti, le conseguenze sarebbero devastanti: siccità estrema in alcune regioni, innalzamento dei mari (che provocherebbe, solo in Italia la scomparsa di numerose città, sommerse dalle acque), carestie, perdita di specie ed estinzioni. Non si tratta, quindi, solo di rilanciare il settore industriale, né di un rimedio per la disoccupazione imperante, ma di salvaguardare il futuro nostro e delle generazioni che verranno, garantendo all’uomo un ambiente in cui sia possibile vivere.