Giustizia Quotidiana

CSM: magistratura democratica rischia un altro seggio dopo il caso Fucci-Borraccetti

Magistratura democratica potrebbe perdere un altro posto al Consiglio superiore della Magistratura. Dopo la batosta delle elezioni di luglio scorso, che hanno visto Md perdere un seggio, questa volta sarebbe Il Tar a sparigliare nuovamente le carte al Csm.
I giudici amministrativi del Lazio accolgono il ricorso di Carlo Fucci contro la nomina a Palazzo dei Marescialli del togato Vittorio Borraccetti, ex procuratore di Venezia e “capogruppo” di fatto di Md al Consiglio superiore.
Dando ragione a Carlo Fucci, sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere e primo dei non eletti, i magistrati amministrativi stabiliscono che l’elezione di Borraccetti è illegittima. Dovrebbe essere Fucci ora ad occupare la poltrona di Borraccetti.
Ma il Csm, che ad ottobre si è opposto al suo ricorso al Tar di Fucci, si prepara adesso a resistere davanti al Consiglio di Stato, chiedendo la sospensione degli effetti immediatamente esecutivi.
L’arrivo di Fucci scombinerebbe la rigida lottizzazione dei togati in base alle correnti. L’ex segretario dell’Anm, dopo aver a lungo militato in «Unità per la Costituzione», ne è uscito polemicamente e a luglio si è candidato come «indipendente» al Csm . I colleghi della sua ex corrente lo vedono come il fumo negli occhi, Md ancor di più perché perderebbe un posto facendo passare il raggruppamento Area (Magistratura democratica+Movimento per la giustizia) da 6 a 5 membri: uno meno di Unicost e due più di Magistratura indipendente. Un piccolo terremoto destinato a pesare negli equilibri di piazza Indipendenza. Tanto più che Fucci sarebbe il secondo togato autonomo insieme al magistrato veneto Paolo Corder anch’egli ex Unicost, che sta preparando il lancio di una propria nuova formazione correntizia entro il mese di giugno. Insomma, il quadro si complica perché nei prossimi giorni il Consiglio deciderà sulla possibile decadenza di un altro dei suoi membri, il laico della Lega Matteo Brigandì, accusato di non aver comunicato di essere amministratore di una società legata al suo partito prima dell’elezione.
Sul caso Borraccetti si celebra l’ultimo atto di una guerra tra l’organo di autogoverno della magistratura e i giudici amministrativi, Tar o Consiglio di Stato, che sempre più spesso intervengono per capovolgere le scelte del Csm che, per seguire logiche correntizie, arriva infatti ad adattare disinvoltamente le regole, alla faccia di una rigorosa selezione.
Ogni volta Palazzo de’ Marescialli non ci sta e per tenersi stretto il suo potere ingaggia il braccio di ferro. Intromissioni, anche se per ristabilire il legittimo svolgimento della sua attività, non ne tollera proprio. È accaduto così anche con nel «caso Palombarini» che, dopo 4 anni, quattro sentenze amministrative e altrettante delibere di Palazzo de’ Marescialli ancora non si chiude, malgrado tutti i protagonisti siano andati in pensione. Nel 2007 il Csm ha nominato Procuratore generale aggiunto della Cassazione il magistrato, anche lui tra i fondatori di Md. La decisione è stata impugnata dai candidati esclusi, cui il Consiglio di Stato ha dato ragione ingiungendo più volte al Csm di rifare la valutazione correttamente. Niente. Nonostante la sentenza di condanna al Csm per elusione del giudicato il mese scorso Palazzo de’ Marescialli ha fatto ricorso alle sezioni unite della Cassazione, accusando i giudici amministrativi di aver invaso le sue competenze. E la sentenza potrà rappresentare un punto fermo nel duello tra i due organi.
La questione di Borraccetti, intanto, dimostra come il precedente Csm abbia forzato le norme per soddisfare interessi particolari. La regola dice che un anno prima di compiere i 70 anni una toga può chiedere al Consiglio di rimanere in servizio fino ai 75. Borraccetti lo ha fatto solo 9 mesi prima e con lui un’altra decina di magistrati. Domanda in ritardo, a 69 anni compiuti, niente da fare. E invece no: il Consiglio si inventa una delibera, a gennaio 2010, per superare l’ostacolo con una disciplina transitoria. E tutte le richieste vengono accolte. Il Tar del Lazio dice ora che il termine stabilito è «perentorio» e la delibera è annullata. Insomma, Borraccetti è stato eletto al Csm quando – tecnicamente – non era più magistrato.

 

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