Giustizia Quotidiana

Contrada: un accanimento giudiziario senza fine

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Bruno Contrada venne arrestato con l’accusa di concorso in associazione mafiosa il 24 dicembre del 1992, pochi mesi dopo gli attentati che costarono la vita ai giudici Falcone e Borsellino e alle donne e agli uomini delle loro scorte. Dopo essere stato condannato in via definitiva nel 2007 e dopo anni di reclusione, lo scorso 7 luglio è arrivata la decisione della Corte di Cassazione per la quale la sentenza di condanna è "ineseguibile e improduttiva di effetti penali". Contrada aveva terminato di scontare la sua pena nel 2012, dopo aver trascorso dieci anni in uno stato detentivo tra carcere e domiciliari. 
La motivazione della Corte è stata che, nel 1992, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa «non era sufficientemente chiaro, né prevedibile da lui. Contrada non avrebbe potuto conoscere le pene in cui sarebbe incorso». In seguito a queste vicende, il 26 luglio, il superpoliziotto ha ricevuto una perquisizione nel cuore della notte per fatti accaduti nel 1992 e relativi ad un'inchiesta calabrese, sugli attentati mafiosi ai carabinieri. "La notte in cui ho subito la perquisizione, ho pensato di morire. Io ho due figli, uno è molto malato di cuore, e l'altro è al momento in vacanza all'estero con la sua famiglia. Quando ho sentito bussare in piena notte al citofono e ho sentito gridare 'polizia', il cuore ha iniziato a battere all'impazzata. Ero convinto che fosse successo qualcosa o ad Antonio o a Guido", ha dichiarato Contrada nel corso della conferenza stampa tenuta con esponenti del Partito Radicale.
Continua dunque l'accanimento giudiziario nei confronti di un servitore dello Stato. 

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