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Come lui, affamati di sogni

steve_jobs_1955_2011
Scritto da vocealta

steve_jobs_1955_2011Non ho mai desiderato un Ipod, ho sempre preferito il Blackberry all’Iphone, non ho mai utilizzato un Mac e il mio tablet non è un Ipad. Non avere confidenza con la tecnologia della Apple, non impedisce di avvertire la grandezza di Steve Jobs, l’uomo che ha ideato e reso possibile questa rivoluzione.

Ieri i giovani (nell’accezione più italiana: dai 18 ai 35 anni) hanno perso un padre, un maestro ma anche un coetaneo. Jobs è stato uno dei pochi a comprendere le nuove generazioni, a farsi comprendere e a guadagnarsi l’elezione a “mito”. Nel deserto di valori e ideali, lui è riuscito a piantare buone idee, consigli, speranza e fiducia nel futuro. Ieri è morto un uomo che aveva visto oltre, che aveva capito la sua epoca e che ha saputo usare la sua lungimiranza. Un visionario, un “ingegnere dei sogni”, che in ogni suo discorso ha saputo stupire e insegnare. C’è un video che oggi sta facendo il giro della rete più di quanto non l’abbia già fatto in questi anni, è il discorso fatto ai neolaureati di Stanford, il 12 giugno 2005: è crudo ma commovente, triste ma adrenalico, ansiogeno ma fiducioso. Un discorso che non sarà dimenticato facilmente, già passato alla storia ma che presto diventerà celebre almeno quanto l’immortale “I have a dream” di Martin Luther King o quello di Gandhi a Nuova Delhi.

La sua teoria sull’unione dei puntini, il suo racconto della malattia, la sua idea della morte «come la più grande invenzione della vita» e il suo motto, in quell’occasione augurio per gli studenti, “Stay hungry. Stay foolish”.

Probabilmente i giovani di oggi sono affamati, è vero, di vita e di futuro. Di qualcosa, e soprattutto, di qualcuno in cui credere. Steve Jobs ha provato ad essere quel qualcuno e ce l’ha fatta. Grazie!

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