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Napolitano: «Rispetto per le toghe ma non si difendano dalle riforme»

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Scritto da vocealta

NapolitanoFa male alla democrazia e al Paese la continua e violenta contrapposizione tra potere politico e magistratura. Per la soluzione di questo conflitto Giorgio Napolitano si è adoperato fin dal primo giorno del proprio «solitario» mandato. Il tema è caldo per contingenze d’attualità e per il ricordo di uno dei momenti più difficili del primo settennato del presidente. L’occasione per tornare sulla contrapposizione tra politica e giustizia è la giornata di ricordo, alla Luiss, di Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico di Napolitano scomparso, improvvisamente, a luglio dell’anno scorso nel pieno delle polemiche e di un duro attacco politico e mediatico per le telefonate ricevute e intercettate, nell’ambito dell’inchiesta della procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia, con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.

E poi c’è l’attualità: il quotidiano attacco del Pdl e di Silvio Berlusconi alla magistratura fattosi se possibile più aspro per la vicenda della decadenza. Napolitano è netto: così non si può andare avanti e raccogliendo il «testimone» di Loris D’Ambrosio, «vittima» di un «’perverso’ giuoco politico-giudiziario e mediatico» per cui «non è mai sopito lo sdegno», «ci tocca operare senza arrenderci a resistenze ormai radicate e a nuove recrudescenze del conflitto da spegnere nell’interesse del Paese». «Occorre operare» in modo che la politica e la giustizia non siano animate dal «sospetto reciproco» e «cessino di concepirsi ed esprimersi come mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco, anziché uniti da una comune responsabilità istituzionale’». Parole già pronunciate, ma invano, dal Capo dello Stato davanti al Csm nel 2008. Peraltro questo «fuorviante» conflitto è «gravido di conseguenze pesanti per la vita democratica in Italia». Prima fra tutte quella della mancata riforma della giustizia.

Non è un caso, infatti, che anche nella nota nella quale Napolitano esponeva le sue valutazioni sulla condanna in terzo grado del Cavaliere e sulle sue conseguenze politiche il cuore del ragionamento ruotasse intorno alla possibilità di giungere, `sgombrato’ il campo dalle vicende personali e politiche di Berlusconi, a una riforma che migliori l’amministrazione della giustizia. Per farla è indispensabile che la magistratura non alzi un muro. Il presidente, certo, chiede con forza il «rispetto inequivoco» dei magistrati che sono «impiegati pubblici» – espressione che «non dovrebbe essere mai usata in senso spregiativo» – con una peculiare e complessa funzione: «Non c’è nulla di più impegnativo e delicato che amministrare la giustizia».

Detto questo, però, le toghe – è il richiamo del Colle – devono fare la loro parte. Tra i magistrati, osserva Napolitano, dovrebbe emergere «un’attitudine meno difensiva e più propositiva rispetto al discorso sulle riforme di cui la giustizia ha indubbio bisogno da tempo e che sono pienamente collocabili nel quadro dei principi della Costituzione». Insomma, non si sventoli la Costituzione per lasciare tutto com’è. Per le necessarie riforme «molto importante è il contributo che ci si deve attendere dalla magistratura» tant’è vero, ha aggiunto, che Loris D’Ambrosio è sempre stato «esigente e non acritico verso la sua casa, verso il suo mondo: nella convinzione che ciò fosse necessario nell’interesse della stessa magistratura e di un suo rinnovato prestigio». Equilibrio, imparzialità e sobrietà sono «il miglior presidio dell’autorità e dell’indipendenza del magistrato».

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