Politica

Efficienza della giustizia e sfida economica

Il confronto costruttivo e le significative ed incisive proposte che sono state sviluppate nell’incontro organizzato da Confindustria sul tema “Le sfide della politica economica”, meritano un’attenta riflessione e rilanciano all’attenzione di tutti il tema della crescita del nostro Paese.
Anche la Magistratura deve sentirsi protagonista e deve svolgere un ruolo primario perché non si può parlare di crescita, di competitività, di ripresa economica e di politica industriale se non si arriva ad avere un sistema giustizia efficiente e rapido.
Si parla troppo di giustizia penale e poco di giustizia civile.
Questa è l’occasione per rappresentare all’opinione pubblica, agli addetti ai lavori, a tutti coloro che lavorano per rafforzare la crescita italiana che occorre modernizzare la giustizia civile. Credo che sia giunto il momento anche per la Magistratura di raccogliere l’invito di Confindustria e che sia aperto un confronto per  predisporre un pacchetto di modifiche del processo civile e del processo esecutivo, che possano determinare quella svolta virtuosa del processo civile stesso.  
La situazione di crisi del sistema giudiziario rappresenta un ostacolo allo sviluppo del sistema economico,  soprattutto per le nuove imprese, che preferiscono firmare contratti con partner che conoscono e che garantiscono affidabilità.
Vittime della inefficienza del processo civile non sono le grandi aziende, che utilizzano  quale mezzo di risoluzione dei conflitti l’arbitrato, quanto le piccole e medie imprese che, come noto, rappresentano l’ossatura portante del sistema economico produttivo del Paese.
I dati sono impressionanti: un rapporto realizzato da un importante istituto bancario ha evidenziato che in tema di ostacoli alla crescita delle piccole e medie imprese l’inefficienza giudiziaria pesa per il 12%, collocandosi solo dopo la burocrazia. La concorrenza asiatica incide sulla crisi solo per il 2% e l’inefficienza infrastrutturale per il 7%.  Non è tutto. Secondo uno studio della commissione tecnica della finanza pubblica del Ministero dell’Economia il risarcimento che lo Stato sarebbe tenuto a pagare per l’irragionevole durata dei processi ammonterebbe a circa 500 milioni di euro l’anno.
Tutto questo deve fare riflettere il legislatore, gli operatori del settore e ciascuno dei soggetti che sono chiamati a confrontarsi sui temi in materia di giustizia, affinché davvero si arrivi ad avviare, o meglio a riprendere, un confronto alieno da contrapposizioni puramente ideologiche e da ragionamenti di pura fazione. E’ auspicabile un clima, come si è registrato qualche rara volta nel passato, che veda le parti coinvolte, pur nella doverosa distinzione di competenze e responsabilità, proiettate a convincersi l’un l’altra sulla qualità di ciascuna propria proposta piuttosto che impegnate nella mera critica delle posizioni altrui. Un confronto di questo tipo renderebbe un notevole servizio al Paese e sarebbe in grado di dare risposte che non sono più procrastinabili.   
L’inefficienza della giustizia civile costituisce infatti uno dei fattori che condizionano la  competitività e la capacità di crescita e rende talvolta parzialmente inefficaci le riforme realizzate dal Parlamento in differenti materie. Vi è un problema di qualità della giustizia (con connessa esigenza di una maggiore qualificazione del personale giudiziario e quindi di una attenta selezione dello stesso e continua riqualificazione), ma anche un problema di tempestività. Vi è infine un problema di risorse a disposizione della giustizia e di capacità di gestione delle stesse. Tutto ciò genera costi rilevanti per l’economia. Basti pensare agli studi realizzati dalla Banca Mondiale con il  rapporto “Doing Business” o quelli svolti dal Cepej, la Commissione europea per l’efficienza della giustizia, che hanno evidenziato come una non rigorosa applicazione delle leggi determini effetti negativi sui mercati finanziari. I creditori, non potendo confidare su di una tutela del proprio credito, sono tentati di pretendere tassi di interesse più elevati o di concederne di meno, condizionando per tale via l’accesso al mercato dei capitali degli investitori.
Ma anche una giustizia non di qualità scoraggia la creazione di nuove imprese e disincentiva  gli investimenti delle imprese industriali, estere o nazionali. Per un verso, l’impossibilità di confidare in una pronta tutela in sede giudiziaria costituisce un fattore che distorce la concorrenza perché agevola l’operato di quelle imprese che, già radicate nel tessuto economico, possono offrire una buona reputazione e così mantenere o conquistare fette di mercato. Per l’altro, la insicurezza della giustizia spinge gli operatori economici esteri ad evitare di operare in Italia e quelli nazionali ad espandersi, complice il costo del lavoro ed una fraintesa tutela costituzionale del lavoratore, non sul territorio nazionale, ma in paesi terzi.
Ad una giustizia inefficiente fa da pendant uno scarso numero di imprese, ed in particolare di società di capitali, soprattutto nei settori che dipendono in misura maggiore dalla disponibilità di finanza esterna: in questi casi una tutela adeguata dei finanziatori è essenziale per la crescita.
Alcuni dei rimedi possibili sono la digitalizzazione del processo civile e la selezione dei dirigenti degli uffici giudiziari secondo un rigoroso parametro di capacità gestionale, “traguardi” sin da subito realizzabili senza particolari riforme e che possono rappresentare prime risposte efficaci.
In prospettiva si dovrebbe inoltre intervenire sulla riduzione e semplificazione dei riti processuali, sulla tecnica di motivazione delle sentenze (da estendere ad esempio solo a richiesta di parte), e sui sistemi formali ormai superati, come le notifiche. Nella fase cd. organizzatoria la riduzione dei tempi del processo civile richiede quale presupposto indefettibile la possibilità di dotare il giudice di un vero e proprio ufficio costituito da collaboratori qualificati idonei a svolgere tutte quelle attività preparatorie necessarie all’emanazione del provvedimento decisorio e che tanto tempo assorbono all’attività giurisdizionale.
La certezza del processo deve infine essere anche certezza del risultato, ossia attuazione concreta della sentenza,  quale forma di ristoro del danneggiato e in generale momento essenziale perché tutti gli attori del processo comprendano il significato non simbolico della sanzione, percependo la legalità in funzione di orientamento culturale e tavola di valori ai quali riferirsi nella vita relazionale e di scambio commerciale.
La riforma del processo civile procede nella direzione della competitività e della celerità. Si è puntato sul ruolo del giudice e sulla sua responsabilità e professionalità. Oggi, il numero di fascicoli trattati ad udienza dovrà necessariamente essere più basso ma ciò, al di là delle apparenze, avrà ricadute indubbiamente positive in termini di organizzazione del lavoro e di produttività: il numero della cause sarà inferiore formalmente, ma sostanzialmente superiore quanto a numero e celerità di decisioni, posto che il minor numero consentirà (quasi obbligherà) al giudice uno studio accurato delle stesse anche grazie una maggiore partecipazione dell’avvocato.
E’ necessario ed ineludibile mettere bene in chiaro quanto un giudice medio possa effettivamente produrre senza pregiudicare la qualità del prodotto principale, cioè, della sentenza.
Sarà, altresì, indispensabile rivedere le piante organiche degli uffici giudiziari, rimodulando la distribuzione delle risorse per ciascuna area geografica sulla base dei flussi in entrata degli affari e dei risultati conseguiti.
Altrettanto necessario risulterà assicurare un’adeguata formazione dei dirigenti, chiamati a distribuire le risorse tra il settore civile e quello penale sulla base di una rigorosa disamina dei relativi flussi in entrata e in uscita degli affari.
Il principio della ragionevole durata del processo civile potrà trovare concreta attuazione solo se i carichi di lavoro dei singoli giudici venissero portati ad una media di 300-400 cause pro capite. Urge, infine, una razionalizzazione dei troppi modelli processuali esistenti, nonché l’incentivazione di forme stragiudiziali di definizione delle controversie. È arrivato, inoltre, il momento di affrontare, con pragmatismo, il problema nascente dalla previsione della generalizzata appellabilità di tutte le sentenze di primo grado.

*Magistrato.

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