Politica

Il capolavoro di Berlusconi

Come è stato più volte detto e scritto, è nelle situazioni di apparente difficoltà e di accerchiamento da parte dei suoi nemici che Silvio Berlusconi riesce a dare il meglio di sé. Lo ha fatto sin dal momento della sua «discesa in campo» nel ’94, quando la sinistra politica, mediatica e giudiziaria ha iniziato a rappresentare il fondatore di Forza Italia come un cancro per la democrazia, come il male assoluto da estirpare, come il pericolo pubblico numero uno. Lo ha fatto, poi, nella lunga «traversata del deserto» degli anni 1996-2001, quando dall’opposizione, mentre tutta l’intellighenzia gauchista lo dava per finito, ha riorganizzato con pazienza lo schieramento di centrodestra e lo ha portato al successo alle elezioni politiche del 2001. Lo ha fatto, ancora, nel 2006, quando, abbandonato persino da alcuni suoi alleati poco lungimiranti, con una coraggiosa campagna elettorale, condotta pressoché in solitaria, ha rimontato uno svantaggio dall’Unione prodiana che sembrava incolmabile, ha sfiorato per una manciata di voti il successo ma ha riconfermato la sua leadership carismatica come l’unica possibile per il centrodestra italiano. Lo ha fatto, infine, nel 2009 e nel 2010, in occasione delle elezioni europee e amministrative dell’anno scorso e di quelle regionali di quest’anno, tutte precedute da una lunga campagna di gossip, veleni, tentativi di delegittimazione morale, accuse di ogni genere da parte della solita sinistra a corto di argomenti politici ma sempre pronta a riversare sul Cavaliere ondate di fango, quintali di calunnie, tonnellate di odio.
Sono dunque sedici anni che, quanto più Berlusconi viene considerato sul viale del tramonto, tanto più egli si dimostra vivo e vegeto, in piena forma politica, titolare di una leadership che niente e nessuno riescono a scalfire. Il segreto – se così possiamo chiamarlo – sta nella capacità non comune del presidente del Consiglio di rinnovare ogni volta il suo rapporto diretto col popolo, chiamandolo a raccolta come migliore scudo di fronte agli attacchi della sinistra. Questa volta è accaduto con la grande manifestazione di piazza San Giovanni del 20 marzo, che ha ridato forza, speranza ed entusiasmo ad un elettorato che sembrava spaesato dopo la vicenda della presentazione delle liste, e che ha invece ben compreso che anche in questo caso si trattava del tentativo di far fuori l’avversario non con i mezzi della politica e della democrazia, ma con quelli giudiziari e mediatici – tanto più che, come lo stesso Berlusconi ha ricordato più volte, la cancellazione della lista del Popolo della Libertà a Roma e provincia è arrivata dopo il tormentone giornalistico su una presunta nuova Tangentopoli, dopo la reboante inchiesta sugli appalti della Protezione Civile e dopo l’ennesima fuoriuscita di intercettazioni coperte dal segreto nell’ambito dell’inchiesta di Trani sul «caso Santoro».
Anche stavolta, dunque, risultati elettorali alla mano, non c’è trippa per gatti. Chi, come qualche incauto esponente del Partito Democratico e dell’opposizione, sognava un indebolimento della leadership berlusconiana in seguito alle regionali, deve riporre le sue speranze nel cassetto. Perché il voto del 28 e 29 marzo, al contrario delle sgangherate previsioni dei maître à penser della sinistra salottiera, ha consolidato il ruolo del Cavaliere, che ora può giocare da una posizione di forza la partita delle riforme negli ultimi tre anni di legislatura – che, ricordiamolo, non prevedono altri appuntamenti elettorali di rilievo nazionale. La morale della favola, insomma, è che la sinistra, incapace di comprendere la lezione della recente storia politica italiana, continua a dare spallate contro un muro che non accenna a cadere. E così finisce per farsi del male da sola (Ragionpolitica).

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