Politica

Perché attaccano la Chiesa e il Papa

Il dialogo tra Gesù e Ponzio Pilato, nel racconto della Passione secondo l’evangelista Giovanni, rappresenta uno dei momenti più drammatici nel rapporto tra il Nazareno e l’umanità: è lo scontro tra il potere del mondo – tra quelle che noi oggi chiameremmo «lobbies dominanti» – e il misterioso potere disarmato di un Dio che, fattosi uomo, si offre come vittima sacrificale «per la salvezza di molti». A Pilato che gli chiede se fosse lui il re dei Giudei, se quindi il suo obiettivo fosse quello di rovesciare l’ordine costituito e di instaurare un proprio impero terreno, Gesù risponde affermando che il suo regno «non è di questo mondo»: se così fosse, infatti, i suoi seguaci «avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei». Il racconto prosegue descrivendo un Pilato che, evidentemente spiazzato dalle parole del suo interlocutore, torna a interrogarlo: «Dunque tu sei re?». E Gesù, quasi a voler sgravare il prefetto romano dal peso umanamente insopportabile di mandare a morte il Giusto senza alcuna valida causa: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Da qui la domanda di Pilato seguita dal terribile silenzio del Nazareno: «Che cose’è la verità?». Commenta Michele Federico Sciacca: «Silenzio di Cristo. A tutti l’ha detta la verità, agli umili e ai reietti, ai pubblicani e alle prostitute, a tutti quanti avevano la semplicità e la buona volontà di ascoltarla. Al rappresentante di Cesare non la dice… Che cosa può esser mai la verità per un funzionario il cui unico regno è la sua poltrona, per uno di quei potenti che fanno la storia?». E conclude: «Dopo i silenzi che seguono alla condanna, questo di fronte a Pilato, in pieno pretorio, è il più significativo dei silenzi di Cristo». Tutto il potere del Sinedrio e tutto il potere dell’impero romano «sono inceneriti dal fulmine di quel silenzio».
Da duemila anni questo è il grande paradosso cristiano, il paradosso della Chiesa cattolica, ben riassunto dalle parole di San Paolo: «Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo». Ed è per questo che il mondo non può sopportare l’esistenza di un potere (un «regno») che non si fonda sulla forza, sul dominio, sulla prevaricazione, ma sulla verità offerta liberamente alla persona sotto forma di Dio-uomo che dona la sua vita per riscattare l’umanità dalla schiavitù del male e del peccato. Non è un’idea, non è una filosofia, non è un principio religioso, ma una presenza reale nella storia, che va oltre la storia. Come scriveva sant’Agostino anagrammando la domanda di Pilato: «Quid est veritas? Est vir qui adest». La verità è un uomo presente.
La Chiesa e i cristiani, sin dagli inizi della loro avventura storica, sono combattuti e perseguitati per questo: perché ricordano ai prìncipi di questo mondo, e alle élites interpreti del pensiero dominante, che tutto il potere che essi riescono affannosamente ad ottenere, che tutti gli uomini che essi riescono in qualche modo ad assoggettare, che tutte le ricchezze che essi riescono ad accumulare non sono l’ultima parola che decide le sorti dell’umanità. E che c’è una verità che nessuna guerra culturale, nessuna prigione, nessun tentativo di censura potranno mai cancellare: la verità di Dio e del suo Figlio fatto uomo, quella verità in nome della quale Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli». Quando i primi martiri cristiani, interrogati dai generali dell’impero romano circa la loro identità, rispondevano con le parole «christianus sum», ben sapendo quale sarebbe stata la loro sorte, affermavano esattamente questa verità: «Il vostro potere può privarci della vita, ma non può toglierci la Vita», cioè l’appartenenza al Dio di Gesù Cristo. Per dirla ancora con San Paolo: «Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: “Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello”. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati».
Oggi la storia si ripete. Non soltanto nelle persecuzioni che ogni anno vedono come vittime innocenti, in molte parti del mondo, migliaia di cristiani, ma anche negli odierni attacchi che, in seguito allo scandalo dei preti coinvolti in casi di pedofilia, vengono mossi alla Chiesa e al Papa da alcuni giornali americani, tedeschi e anche italiani, e dalle lobbies laiciste ed anti-cattoliche che tali giornali controllano. Chi volesse rendersi conto dell’infondatezza delle accuse rivolte a Benedetto XVI, può leggere i documentati articoli pubblicati in questi giorni dall’Osservatore Romano e dall’Avvenire. Ma quello che qui ci preme sottolineare è che quest’ondata di fango che punta a delegittimare il successore di Pietro, e a dipingere la sua barca come una congrega di pedofili, arriva proprio sotto un pontificato che con mitezza, tenerezza e semplicità sta riproponendo agli uomini del nostro tempo la radicalità dell’annuncio cristiano, la sua «pretesa» di verità contro ogni relativismo filosofico ed etico, cioè contro un’idea dell’uomo e di Dio che rende la persona più malleabile, più esposta ai venti e alle suggestioni dei potentati di turno, degni eredi di coloro che organizzarono il processo a Gesù e che lo inchiodarono alla croce, sul Golgota, duemila anni fa. Quel giorno «si fece buio su tutta la terra» (Ragionpolitica).

Riguardo l'autore

vocealta