Politica

Chi ha paura di Balotelli

Persino una nazionale di calcio, dicono, può essere lo specchio di un Paese. Punto di vista certamente opinabile, ma da non liquidare in fretta e furia.
Così come fanno i soliti radical chic, per disprezzare quel pallone troppo popolare per i raffinati gusti di intellettuali e osservatori delle vicende italiche. Ma la disfatta azzurra ai mondiali sudafricani (sconcertante eliminazione al primo turno, come tutti ben sanno) assume in fondo significati non solo di carattere prettamente tecnico e sportivo.
Perché si è vista una squadra troppo vecchia, non solo anagraficamente. Stanca, a tratti quasi demotivata. In alcuni frangenti addirittura timorosa. Per nulla temeraria, sempre troppo attendista. Una nazionale senza colore, priva di fantasia e talento. Un peccato mortale, per un’Italia che (non solo sul campo) ha sempre saputo fare affidamento sull’estro e sulla creatività dei suoi uomini.
Il recente disastro allontana anni luce il trionfo di Berlino e di quei ragazzi in grado, nel 2006, di salire sul tetto del mondo contro tutti i pronostici. Il segreto di quel successo? La forza del gruppo, si disse. Quasi a voler sminuire le capacità dei singoli. E proprio su questa retorica è stato costruito l’ultimo cocente fallimento.
Gente come Cassano e Balotelli, geniali ma ingombranti, avrebbero – si è ripetuto allo spasmo nei mesi passati –  messo a repentaglio vecchie e collaudate armonie. Ma adesso, alla luce di ciò che è accaduto sotto gli occhi del mondo in Sudafrica, quel gruppo che ha chiuso senza troppi fronzoli le porte ai fuoriclasse di Inter e Sampdoria, tristemente appare come l’ennesima casta che per sopravvivere rifiuta il merito e la novità. Che pensa di poter far tutto da sola e non ama mettersi in discussione.
Ed ecco il punto dolente: la meritocrazia. Che è segno di civiltà e libertà. Che è la vera anticamera della qualità e del successo, che nel calcio vuol dire gloria e vittoria. E nella vita di tutti i giorni più semplicemente progresso. Proprio ciò che occorre al Paese.
Dopo la delusione, i malumori, i rimpianti e la vergogna, meglio guardare avanti. Dopo il lutto, serve la speranza. La rabbia giusta e l’entusiasmo per ripartire dalle macerie. Alla nazionale ci penserà Cesare Prandelli, che sembra l’uomo della provvidenza. Uno poco avvezzo ai palazzi e bravissimo a lanciare i giovani talenti.
In contemporanea, fuori dal campo, servirà invece una classe dirigente capace, anche attraverso lo strumento politico delle riforme, di non voltarsi troppo indietro e di guidare la tanto agognata svolta. Di sfidare le lobbies per esaltare le individualità e le nuove generazioni.
Basterà non avere paura di Balotelli.

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