Politica

Tra la forca e il perdono

Il doppiopesismo di una certa parte della politica rischia di diventare a volte persino irritante. Anche agli occhi e alle orecchie di chi, abituato ai suoi linguaggi, alle sue polemiche e ai suoi teatrini, non si scompone dinanzi  al tutto e al contrario di tutto.
La sinistra, è un dato di fatto, resta sempre in bilico tra il giustizialismo alla Di Pietro e il giustificazionismo alla Vendola, incapace di trovare un equilibrio o – come si diceva una volta – la giusta sintesi tra le due dimensioni.
Anche se, per onestà intellettuale, sarebbe forse più opportuno intraprendere senza troppi tentennamenti una strada e segnare in maniera meno ambigua la propria visione politica.
Ma l’impresa, attualmente, appare davvero impossibile. Perché se un giorno s’impugna con disinvoltura la forca per strumentalizzare le disgrazie giudiziarie degli avversari, quello dopo s’invoca il dialogo nei confronti di chi ha deciso di esprimere le proprie idee mettendo a ferro e fuoco una città.
Prima la retorica delle manette e poi quella dell’indulgenza, prima il mito delle patrie galere e poi quello del libero dissenso, da consacrare anche quando oltrepassa il comune senso civico e si manifesta in atti di puro vandalismo e teppismo.
Un giorno lo Stato, con taluni magistrati, va tutelato anche a discapito delle garanzie personali, il giorno dopo ridimensionato se a rappresentarlo sono quelle forze dell’ordine incaricate di difendere le istituzioni.
Due pesi e due misure, appunto. Il tribuno coriaceo Di Pietro da una parte, il buonista radical chic Vendola dall’altra.
E in mezzo? Il solito Partito Democratico, incapace di decidere da che parte stare. Li subisce entrambi e al tempo stesso ne resta colpevolmente affascinato. Nell’incertezza assoluta, non gli resta che restare lì, nella terra di nessuno. Equidistante, in ossequi al vecchio e caro politicamente corretto, dalle due opposte anime della sinistra italiana.
Inevitabile quindi il doppio fallimento: perché così si è complici e pure comprimari. In terza linea a difendere una ragione che appartiene ad altri.

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