Giustizia Quotidiana

Il caso Contrada secondo Giustizia Giusta

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Scritto da vocealta

bruno-contradaIl caso Contrada e sulla notizia che la corte d’appello di Caltanissetta ha ammesso la revisione del processo a carico dell’ex funzionario del Sisde pubblichiamo dal blog “Giustizia Giusta” il contributo di Paolo Perricone.

Quando, sabato scorso, mi hanno telefonicamente avvertito che la Corte di Appello di Caltanissetta ha ammesso la revisione del processo in cui l’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada è stato condannato a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, quasi non ci credevo. Eppure la notizia era vera, incredibile ma vera.

Bene ha fatto l’agenzia Ansa a ricordare sommariamente, negli stessi minuti, la vicenda di Contrada: «Bruno Contrada, 79 anni, ex funzionario del Sisde che vedrà, dopo la decisione della Corte d’appello di Caltanissetta, celebrare la revisione del processo in cui è stato condannato a 10 anni per concorso alla mafia, era entrato in polizia nel 1958, è diventato investigatore di punta dell’antimafia, a più riprese è stato capo della squadra mobile di Palermo negli anni ’70, poi dirigente della Criminalpol, capo di gabinetto dell’Alto commissariato antimafia e, infine, ‘numero tre’ del Sisde. Dopo l’arresto, alla vigilia del Natale 1992, ha scontato 31 mesi e sette giorni di carcerazione preventiva. Era accusato da ‘pentiti’ di passare informazioni a Cosa nostra e di avere consentito la fuga di pericolosi latitanti, come il boss dei boss Totò Riina, ricevendo la ‘copertura’ di non identificati vertici istituzionali. Uno dei primi ad accusarlo fu Gaspare Mutolo, del quale Contrada ricorderà di averlo più volte arrestato e sosterrà che la sua è una vendetta. Ma ci sono anche Tommaso Buscetta, Salvatore Cancemi e Giuseppe Marchese. Contrada è stato assolto nel primo processo d’appello, il 4 maggio 2001, dopo la condanna a dieci anni inflittagli in primo grado il 5 aprile 1996. Poi è la Cassazione, il 12 dicembre 2002, ad annullare il verdetto assolutorio e a disporre un nuovo processo. Arriverà quindi la condanna a 10 anni di reclusione, il 25 febbraio 2006, che nel maggio del 2007 la Cassazione rende definitiva. Ora il nuovo passaggio di una vicenda giudiziaria che dura da 19 anni».

Era stata una lettera di Contrada indirizzata al ministro della Giustizia, alla Corte d’Appello di Caltanissetta, al Consiglio Superiore della Magistratura e al Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione a far suscitare più di un dubbio sull’esito dei processi ai quali era stato sottoposto l’ex funzionario della Stato. In particolare quella missiva conteneva alcuni rilievi al provvedimento di archiviazione disposto dal procuratore generale presso la Corte Suprema di Cassazione avverso l’esposto dell’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada ed un sollecito sulla domanda di revisione del processo, presentata dopo l’uscita del libro di Antonio Ingroia, “Nel labirinto degli Dei”, che, secondo il difensore di Contrada, Giuseppe Lipera, avrebbe gettato nuova luce sulle dichiarazioni del pentito Vincenzo Scarantino. 
Scarantino, infatti, definito dallo stesso Ingroia “criminale di infimo livello”, dopo aver “reclamato” la presenza di magistrati della Procura di Palermo, interrogato da Ingroia, avrebbe rivolto accuse “minuziose e precise, apparentemente riscontrabili” nei confronti del ex dirigente della Polizia di Stato, che tuttavia, in seguito agli approfondimenti della Polizia Giudiziaria, non erano state riscontrate e che, di conseguenza, i magistrati assegnatari del procedimento a carico del predetto avevano scelto di non inserire agli atti e di non farne menzione alcuna. Accuse che, però, secondo l’avvocato Lipera, darebbero adito ad immaginare un ‘complotto’ ai danni di Contrada nell’ambito del quale Scarantino avrebbe evidentemente mentito. «Non ci si può non domandare per quale ragione il dottor Ingroia non avesse voluto approfondire proprio questo rilevante aspetto della vicenda, né avesse inserito il verbale di interrogatorio agli atti del processo unitamente alle successive indagini di P.G., in modo che la sua difesa potesse utilizzare tutti gli strumenti utili nel modo ritenuto più opportuno, nel rispetto del principio del contraddittorio». Sulla vicenda il legale di Contrada presentò un esposto a gennaio 2011, archiviato da un sostituto del procuratore generale presso la Corte di Cassazione il 25 maggio 2011 e vistato dal Procuratore Generale, Vitaliano Esposito, il 22 luglio 2011 (che non è stato nemmeno notificato all’interessato). «A quanto pare – si legge ancora nella lettera – il Procuratore Generale si è affidato esclusivamente al testo del libro ‘Nel labirinto degli Dei’ per valutare se effettivamente, così come dispone l’art. 416 comma 2 c.p.p. (in connessione con l’art. 130 disp. att.), il dott. Ingroia, dovendo versare nel proprio fascicolo tutto il materiale d’indagine, avrebbe dovuto versare anche il verbale di interrogatorio di Scarantino e gli esiti degli accertamenti della Polizia Giudiziaria. Infatti nel provvedimento si legge ‘sul piano procedimentale si trae dalla stessa narrazione del volume che quel verbale era pertinente ad altra indagine nel cui ambito soltanto essa doveva confluire’. L’indagine – afferma Lipera – sarebbe quella sulla strage di via D’Amelio, in cui perse la vita Paolo Borsellino insieme agli uomini della scorta. Ma è possibile che la Procura Generale non abbia acquisito atti per verificare nell’ambito di quale indagine venne effettivamente svolto quell’interrogatorio? Sarebbe davvero sorprendente che una vicenda tanto delicata e seria sia stata affrontata e valutata basandosi solo su quanto scritto in un libro che, per quanto circostanziato, rimane pur sempre un libro».

L’avvocato Lipera aveva rilevato quindi che «l’interrogatorio del pentito Vincenzo Scarantino venne effettuato da chi indagava contro il dottor Contrada, nell’ambito del processo a carico del ex Dirigente della Polizia di Stato e quindi il verbale dell’interrogatorio ed i relativi accertamenti di P.G. andavano versati agli atti di quel processo, in modo che anche le suddette emergenze venissero valutate nella doverosa parità di contraddittorio tra le parti». Insomma la revisione del processo si imponeva e così è stato.

Il prossimo appuntamento è fissato per il prossimo 8 novembre davanti alla Corte di Appello di Caltanissetta quando inizierà, appunto, il processo di revisione.

«Adesso sono un po’ frastornato da questa notizia, perché mi sembrava impossibile – ha detto Contrada al suo legale nell’apprendere la notizia – sono sempre fermo al brocardo latino ‘ad impossibilia nemo tenetur’ (all’impossibile non si può fare alcunché, ndr) perché dopo tutto quello che ho passato negli ultimi venti anni ho tutti i motivi per essere pessimista. Ora – ha concluso Contrada – devo trovare il tempo e il tempo ormai per me stringe e la salute scarseggia. La speranza è l’ultima a morire; l’unica mia speranza è l’imprevisto».

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