Giustizia Quotidiana

L’ultimo intervento di Brigandì al Csm

Signor Presidente, Colleghi,
chiedo scusa del tempo che vi farò perdere perché mi rendo ben conto dell’inutilità del mio dire però è necessario che almeno resti agli atti la memoria di alcuni punti.
Nella seduta di mercoledì 6 aprile mi sono allontanato dall’aula per lasciarvi discutere con la doverosa pacatezza che si addice a un momento solenne come questo. In realtà ho origliato nel circuito interno e ho scoperto che, seppur con esito scontato, quantomeno dovete votare su dati esatti. Sostanzialmente l’accusa era che la Fingroup è società commerciale in quanto ha fatto utili ed ha delle caratteristiche che giuridicamente la fanno inserire in tali categorie non essendovi alcun dubbio ne tantomeno precedenti in dottrina e giurisprudenza contrari. Addirittura si è ritenuto di ironizzare sul parere del professor Foschini quasi sostenendo che ivi vi fosse giurisprudenza inventata.
Il fatto:
se il relatore, o anche uno dei consiglieri, ritengono che io dica delle cose non esatte, me lo contestino adesso e io toglierò il disturbo privando il consiglio superiore dell’emozionante esperienza di porre un suo componente alla porta tenendo conto che ciascun consigliere ha i bilanci e le dichiarazione dei redditi degli ultimi 5 anni e, ove venisse richiesto, vi sarebbero tutti i bilanci dalla nascita della società.

1 – La società non ha mai dato alcun emolumento all’amministratore ancorché i pennivendoli di regime giochino sul doppio incarico;
2 – La società ha la sede legale presso lo studio del dottor Ugo Zanello e non ha alcuna sede operativa;
3 – Non ha alcuna utenza telefonica;
4 – Non ha alcun dipendente né alcuna altra persona che operi per la stessa ad eccezion fatta dall’esponente e dal commercialista, attuale amministratore;
5 – Non ha beni di alcun tipo se non le quote di altre società;
6 – Non ha mai fatturato alcunché, conseguentemente non ha mai erogato alcuna prestazione;
7 – Non ha mai venduto né fornito beni o servizi;
8 – Non ha mai conseguito alcun utile (ho sentito in particolare dal consigliere Rossi che in discussione ha affermato l’esistenza di utili a riprova della “commercialità” della società, l’assunto è falso perché si legge che l’utile è “dovuto principalmente alla rinuncia da parte dei soci del finanziamento infruttifero del finanziamento versato nel corso dell’esercizio”, non illustro la frase per rispetto di chi mi ascolta dico soltanto che gli unici utili sono i modesti interessi percepiti dalla banca per i depositi che non sono certamente di natura commerciale perché, se così fosse, tutti noi eserciteremmo attività commerciale in quanto tutti noi abbiamo un deposito bancario);
9 – La società mai ha coperto debiti, ma si è limitata ad aumentare il capitale sociale per le società verso cui aveva interessi politici e a liquidare le società ove questo interesse veniva meno.
10 – In riferimento alle disposizioni sulle imprese soggette a fallimento occorre precisare che la Fingroup non avendo ricavi non risponde al punto B e, non avendo debiti, non risponde al punto C della legge così come modificata dal D.lgs. 12 settembre 2007 n. 169;
11 – Date le caratteristiche della società questa da sempre ha pagato le tasse come società di comodo, ed è sempre stata riconosciuta come tale.

Incontrovertibili questi fatti, sempre origliando, ho sentito dire che non vi erano sentenze contrarie e che quindi concordemente dottrina e giurisprudenza facevano equivalere la società per azioni alla società commerciale. Non entro nel merito del problema limitandomi allo stato a dire che sia nell’autorevolissimo parere del professor Foschini di diritto commerciale, sia nel parere da tutti giudicato interessante del professor Gallenca, sia e soprattutto nella mia molto più modesta nota è segnata la dottrina:
Gargano, Le società, Bologna, 2003, 7 e ss;
Malasà, Le società senza scopo di lucro, Milano, 1984, 64;
G. Ferri Senior, Le società, Torino, 1987, 26 e ss. E 60 e ss.;
P. Spada, C’era una volta la società…, in Riv. Notariato, 2001, I, 1;
La giurisprudenza:
Cass. 13.12.1993, n. 12260 in Giur. Comm., 1998, II, 443 e ss. Con nota Cian;
Cass. 01.12.1987, n.8939 in Riv. Dir. Comm., 1989, II, 159 e ss.;
Cass. 01.04.2004, n.6361 in Giust. Civ. Mass., 2004, 4;

In realtà la giurisprudenza maggioritaria si riferisce a casi ove veniva valutata la fallibilità, casi che non possono essere presi in considerazione per ciò che ora valutiamo essendo la Fingroup non fallibile per mancanza dei requisiti di cui sopra (da qualcuno si è detto che la ratio della incompatibilità sia proprio la assoggettabilità alle procedure fallimentari). Se togliamo dalla giurisprudenza citata in materia contraria i casi di fallimento resta ben poco. Di più. Da ormai consolidata giurisprudenza meneghina è stato individuato l’imprenditore di fatto che prescinde addirittura dal soggetto che è preposto giuridicamente alla conduzione dell’azienda, pensiamo a chi ha procure generali iscritte a camera di commercio e, in sostanza conduce l’azienda, a chi affida le quote societarie a società fiduciarie e gestisce l’azienda, a chi comunque è in grado di determinare l’attività di impresa. Se non vogliamo andare a esempi vicini basti vedere, nelle cronache di questi giorni la rilevanza civile, e conseguentemente penale che a Milano hanno dato ai pubblici ministeri sul noto processo dei diritti televisivi del premier.
Una per tutte.
La sentenza annotata da Cian è esaustiva, l’autorevolissima dottrina si cita ancora la 8939: “in ipotesi di società per azioni che contrariamente al dichiarato scopo sociale di natura imprenditoriale […], dopo la sua costituzione e la registrazione non abbia in concreto esercitato un’attività imprenditoriale bensì limitato l’attività all’acquisto di un fondo rustico e alla concessione di esso in affitto a coltivatore diretto, deve ritenersi che il negozio costitutivo della società sia simulato, e dissimuli fra gli apparenti soci, una reale situazione di comproprietà del fondo” (nel caso di Fingroup non vi era l’utile, col conseguente rischio del fondo dato in affitto e non vi era sostanzialmente una pluralità di soci).
Tutto questo voglio dire per congratularmi con le certezze giuridiche origliate, ivi comprese quelle di valenti penalisti che hanno ritenuto di dare una soluzione certa al problema quando, in commissione VIII lo stesso consigliere relatore si è pronunciato per un intervento dell’Ufficio Studi e Documentazione del CSM per determinare se l’attività di giudice onorario sia compatibile con quella di mediatore. E sempre di compatibilità si parlava. Il doppiopesismo è evidente.
Tutto quanto l’ho detto per amor di precisione in quanto ritengo che siamo di fronte a un fenomeno politico e, come tale, lo stiamo trattando. Alla fine del plenum scorso a proposito dell’equivoco sulla mia dichiarazione di incompatibilità dove l’ANSA pubblicava i risultati che certamente interverranno da qui a poco, un quotidiano online pubblicava: “il consigliere Brigandì deve essere fatto fuori intanto perché eletto dal centro destra in parlamento e poi perché è un componente scomodo in quanto battagliero e capace di ribattere colpo su colpo allo strapotere esercitato all’interno del CSM dai rappresentanti più radicali dei gruppi di magistratura democratica e movimento per la giustizia”. A questa pubblicazione non è seguita querela.
Prova del nove.
Il Consigliere Marini durante la discussione parlò del concetto di incompatibilità come di fatto sanzionatorio. Tutti insorsero per contestare tale impostazione giuridica però il 28 gennaio 2011 guarda caso La Repubblica scriveva per la nota vicenda Boccassini: “I sedici togati non hanno dubbi su come sia andata la storia e sono intenzionati a chiedere una “punizione esemplare” per Brigandì”. Aggiungeva il Consigliere Borraccetti: “tra di noi c’è un guastatore istituzionale” e concludeva “ma c’è chi, a fronte di un fatto così grave chiede che Brigandì faccia pubblica ammenda e se ne vada”. Aveva ragione il Consigliere Marini: la “punizione esemplare” si verificherà da qui a poco.

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