Economia

La flat tax ci riporterà nel 1918

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Con la flat tax potremmo tornare indietro di cento anni. Lo affermano due economisti italiani, Salvatore Morelli e Giacomo Gabutti. Il primo lavora a New York, nello Stone Center on socio economic inequality presso Graduat Center Cuny, nato due anni fa per iniziativa di Branco Milanovic (economista famoso per il suo grafico a elefante che dimostra come stiano crescendo le disuguaglianze fra ricchi e poveri del mondo). Gabutti invece è un dottorando dell’Università di Oxford.

I ricercatori hanno elaborato due grafici utilizzando uno strumento creato ad hoc da un economista americano, che misura l'aliquota complessiva massima sui redditi prevista dalla legislazione, e l'uso della banca dati che ricostruisce la storia della tassazione progressiva nei Paesi avanzati. Alla base di questi dati c’è il lavoro di due docenti di scienza politica americani, Kenneth Shave e Davide Stasavage, che hanno elaborato l’andamento storico dall’introduzione dell’aliquota progressiva nei Paesi avanzati.

«Noi abbiamo preso la serie storica per l'Italia che arriva fino al 2010 l'abbiamo aggiornata a oggi, aggiungendo infine l'ipotesi di una flat tax con un'aliquota massima al 20%» ha spiegato Morelli. Pur precisando che il cuore dello studio è attendibile, esiste un minimo margine d’errore derivante dalle azioni future del governo che, al momento, non sono molto chiare.

«La flat tax farebbe tornare il Paese al 1918, fine della prima Guerra mondiale, quando la progressività delle imposte praticamente era inesistente. La prima forma di imposta progressiva viene introdotta più tardi. Era disegnata così: sui redditi che superavano le 10 mila lire veniva applicata una sovrattassa. Chi le superava pagava qualcosa in più. I redditi che venivano sommati erano i più svariati, da capitale (terre comprese), da immobili, da lavoro. Su tutti gravata un'imposta piatta. Una flat tax» ha aggiunto Morelli. A quell’epoca era possibile una tassa piatta in quanto lo Stato traeva i maggiori incassi dalle imposte sui consumi (la tassa sul macinato per esempio).

I due economisti hanno comparato il livello dell’aliquota di diversi Paesi avanzati evidenziando come si alternino picchi (nel periodo tra le due guerre) e discese, notando che nessun governo ha mai applicato una tassazione piatta a un livello così basso come il 20%. Neanche la politica della Thatcher e Reagan hanno abbassato a questo livello le tasse durante i loro mandati. Solo la Svizzera, che non ha mai vissuto momenti di guerra, sembrerebbe avere una tassazione più piatta rispetto alle altre.

Secondo Morelli l’introduzione di una tassa piatta risponderebbe, in linea teorica, all’esigenza della popolazione di ridurre il carico fiscale, ma in realtà rischierebbe di acuire le disuguaglianze sociali ed economiche. «Cento anni fa le spese dello Stato erano ben al di sotto di quelle attuali, su sanità, istruzione e infrastrutture. Né giurerei sul recupero dell'evasione fiscale, sul quale tra l'altro non ci sono ancora sufficienti studi o dati», spiega Morelli.

C’è poi il problema sui redditi da capitale. Oggi l’imposta sul capital gain è al 26%, sui titoli di Stato al 12,5. Analizzando questi dati, l’economista spiega che «oggi la progressività fiscale sia in parte compromessa. L'aliquota massima sui redditi che si modificherebbe con la flat tax, oggi è al 43%. Certo l'impianto complessivo tiene conto della progressività, anche perché al contrario sarebbe incostituzionale, ma ne tiene conto in modo formale più che sostanziale».

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