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Violenza sulle donne, CEDU condanna Italia

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Scritto da Super User

114039681-9579322c-9cd5-46d3-9a7e-539dc04be0a1La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per non aver agito con sufficiente rapidità per proteggere una donna e suo figlio dagli atti di violenza domestica perpetrati dal marito che hanno poi portato all’assassinio del ragazzo e al tentato omicidio della moglie.

La sentenza, che diverrà definitiva tra tre mesi in assenza di ricorsi, ha condannato il nostro Paese che non ha “protetto una madre e suo figlio” e in particolare “non ha adottato tempestivamente le misure” necessarie “dopo una denuncia per violenza coniugale”. La condotta delle autorità, si legge, ha creato “una situazione di impunità favorevole alla reiterazione di atti di violenza che hanno poi portato al tentato omicidio” della donna “e alla morte del figlio”.

Il caso si riferisce a quanto avvenuto a Remanzacco, in provincia di Udine, il 26 novembre del 2013 quando il marito, ora in prigione, di Elisaveta Talpis uccise il figlio 19enne e tentò di uccidere anche la madre. La furia omicida si scatenò dopo che la signora aveva denunciato il marito e ripetute richieste di intervento rivolte alle autorità anche da parte dei vicini.

Elisaveta Talpis,  dal giugno 2012 aveva subito ripetute aggressioni dal marito violento. Il 19 agosto, in particolare, la donna era stata minacciata con un coltello e costretta ad avere rapporti sessuali con amici del marito. Dopo l’intervento delle forze dell’ordine e le cure ricevute in ospedale per lesioni multiple, la signora era stata ospitata da un’associazione dedita all’assistenza delle vittime di violenza. Dopo 3 mesi, però, Talpis -come si legge- sarebbe stata costretta a lasciare la struttura e solo dopo aver dormito in strada avrebbe trovato una sistemazione presso un’amica. A settembre, una nuova denuncia nei confronti del marito. Il 4 aprile 2013, la donna “è stata ascoltata per la prima volta dalla polizia e ha modificato le proprie dichiarazioni alleggerendo le accuse” nei confronti del marito. La situazione è precipitata alla fine dell’anno.

Il 25 novembre 2013 la signora Talpis ha chiamato di nuovo la polizia per una lite con il marito, portato in ospedale in stato di ebbrezza. Dopo essere stato dimesso”, l’uomo “alle 2.25 è stato fermato in strada e identificato mentre camminava ubriaco. E’ stato multato e gli è stato permesso di tornare a casa. Attorno alle 5 del mattino, armato di un coltello da cucina è entrato nell’appartamento abitato dalla famiglia e ha aggredito la donna. Ha accoltellato suo figlio, che aveva cercato di separare i genitori”. Il ragazzo “è morto per le ferite riportate”. La madre è stata ripetutamente colpita al petto. L’assassino è stato condannato all’ergastolo a gennaio del 2015.

Sulla base degli atti, la Corte con 6 voti contro 1 – ha ritenuto che sia stato violato l’articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. All’unanimità, il collegio ha decretato la violazione dell’articolo 3 (Proibizione della tortura) e, con 5 voti contro 2, ha ravvisato la violazione dell’articolo 14 (Divieto di discriminazione) abbinata agli articoli 2 e 3.

Le vittime “hanno vissuto in un quadro di violenza tanto grave” da giustificare la definizione di “maltrattamenti”. Secondo la Corte le autorità italiane non hanno operato in maniera adeguata e, in particolare, hanno agito in maniera “incompatibile” con l’articolo 3 della Convenzione. La signora “è stata vittima di discriminazione come donna”, afferma la Corte stigmatizzando “l’inazione delle autorità che hanno sottovaluto la violenza in questione e essenzialmente l’hanno avallata“.

Dura la replica del Procuratore di Udine, Antonio De Nicolo alla decisione della CEDU:”Elisaveta aveva presentato una denuncia ma poi si era allontanata volontariamente dal Centro antiviolenza“. Ricordo che in un verbale sostenne che le sue precedenti dichiarazioni erano state stracapite, mal interpretate, forse anche per un problema di traduzione“. Secondo la Procura, quindi, la donna avrebbe ridimensionato all’epoca la portata delle accuse e per questo –  afferma ancora De Nicolo – “per forza  si era arrivati all’archiviazione dall’accusa di maltrattamenti. E’ una tragedia assoluta ma dobbiamo chiederci se c’erano i segnali premonitori per poter cogliere o meno questa terribile vicenda”. 

All’epoca dei fatti De Nicolo non era ancora a capo dell’ufficio friulano ma della vicenda si e’ occupato quando il Ministero ha chiesto le osservazioni sul caso per sostenere le ragioni dell’Italia.  

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