Giustizia Quotidiana

In cinquant’anni, 4 milioni di Mario Mantovani

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Scritto da Super User

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Nel 2009, il numero dei detenuti in custodia cautelare era di 29.809, pari al 46% del totale della popolazione carceraria; il dato di oggi è di 18.622, il 34,5%. Questi dati rivelano come troppe volte l’applicazione della custodia cautelare non costituisca l’extrema ratio, così come previsto dalla nuova disciplina in merito voluta dal Guardasigilli, Andrea Orlando, ma assuma connotati diversi, come quelli di un’anticipazione della pena. In molte occasioni i destinatari di misure cautelari personali vengono, dopo anni, assolti: i numeri parlano chiaro, dal 1991, lo Stato ha pagato quasi 600 milioni di euro a più di 20 mila persone per riparazione per ingiusta detenzione, anche per effetto di sentenze definitive che hanno assolto persone che erano state arrestate». Ne scrive oggi il giornalista esperto in Litigation PR, Andrea Camaiora, sul quotidiano Il Giornale.

«Negli ultimi cinquant’anni, 4 milioni, ebbene sì, quattro milioni di cittadini sono stati prima dichiarati colpevoli, quindi arrestati e infine rilasciati perché innocenti. Dal 1991 al 2012 – prosegue Camaiora – lo Stato ha dovuto spendere 600 milioni di euro per risarcire chi è stato indebitamente arrestato. E il dato ulteriormente negativo è che questa dinamica non accenna a diminuire, anzi aumenta. Nel 2014 le somme spese dallo Stato per le riparazioni per ingiusta detenzione sono aumentate del 41 per cento rispetto al 2013».

Il consulente in comunicazione di crisi di carattere giudiziario prosegue affrontando l’argomento su un piano più tecnico: «La nuova normativa è più che limpida sull’imposizione o meno della detenzione carceraria. Per giustificare il carcere, il pericolo di fuga o di reiterazione del reato non deve essere soltanto concreto ma anche “attuale”. Il giudice non può più desumere il pericolo solo dalla semplice gravità e modalità del delitto. Per privare della libertà una persona l’accertamento dovrà coinvolgere elementi ulteriori, quali i precedenti, i comportamenti, la personalità dell’imputato. Anche gli obblighi di motivazione si sono intensificati. Il giudice che decide per il carcere non potrà infatti più limitarsi a richiamare gli atti del pm, ma dovrà dare conto con autonoma motivazione delle ragioni per cui anche gli argomenti della difesa sono stati disattesi. Sono aumentati da 2 a 12 mesi i termini di durata delle misure interdittive (sospensione dell’esercizio della potestà dei genitori, sospensione dell’esercizio di pubblico ufficio o servizio, divieto di esercitare attività professionali o imprenditoriali) per consentirne un effettivo utilizzo quale alternativa alla custodia cautelare in carcere. È cambiata anche la disciplina del riesame. Il “Tribunale della libertà” ha tempi perentori per decidere e depositare le motivazioni, pena la perdita di efficacia della misura cautelare. Che, salvo eccezionali esigenze, non può più essere rinnovata. Il collegio del riesame deve inoltre annullare l’ordinanza liberando l’accusato quando il giudice non abbia motivato il provvedimento cautelare o non abbia valutato autonomamente tutti gli elementi. Tempi più certi anche in sede di appello cautelare e in caso di annullamento con rinvio da parte della Cassazione».

«Con questo quadro di riferimento – dice ancora Camaiora – colpisce assai non una voce critica rispetto al provvedimento subito da Mantovani: molte e autorevoli sono state infatti le prese di posizione. Semmai ciò che si sente sempre più forte è il silenzio, l’assenza di autocritica dei cantori della manetta facile, della condanna in piazza e anche di coloro che, siamo in tanti, credono nel rigore e nella serietà della magistratura. Il tutto perché c’è chi sta leggendo questo articolo e chi – come Mantovani, ma non solo lui – si trova sottoposto a carcere preventivo da circa un mese».

 

 

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